Peppe Barra e Lamberto Lambertini riprendono ad esibire la loro proficua collaborazione, mettendo in scena uno spettacolo leggero e profondo, e scegliendo il contesto raccolto e familiare del Chiostro della Cattedrale di Santa Maria degli Angeli di Salerno, in stile romanico dell’XI secolo.
La costruzione scenografica pone pubblico e attori dalla stessa parte, dietro il sipario, che aprendosi mostra i palchi deserti di un teatro e i riflettori puntati addosso.
Così Pulcinella (Peppe Barra) e Colombina (Lalla Esposito) intendono schierarsi col pubblico, rappresentando la ricorrente vicenda di astuzia, scaltrezza e malizia che si prendono gioco, e alla fine irretiscono con raggiri e spudorate menzogne, l’ingenuità e l’innocenza, ma anche la comprensibile esigenza di normalità. Anche il richiamo ricorrente di Pulcinella al pubblico, che “non c’è niente da ridere”, sembra teso a conferire enfasi ad una verità tanto artificiosa da suscitare incredulità e ilarità. Metafora della politica di basso profilo che non ha pudore di menzogne e promesse vane per mantenere il consenso e che con le lusinghe fa complici gli oppressi.
Pulcinella, ancora una volta, vittima e carnefice, illuso e illusionista.
La vicenda narra del ritrovarsi di Pulcinella con la consorte Colombina, abbandonata molti anni prima e costretta ai più umili espedienti per sopravvivere. Questa, sfoga su di lui la delusione, il risentimento e il dolore di essersi improvvisamente ritrovata sola, mentre quello si difende raccontando di essere morto e di avere finalmente convinto San Pietro a lasciarlo ritornare sulla terra, per prendersi cura della sua Colombina, che alla fine vuole crederci, ritrovando finalmente un po’ dell’ordinaria quotidianità perduta.
Lo spettacolo risulta molto piacevole e scorre con leggerezza, sorretto dalle belle musiche di Giorgio Mellone e i suoi orchestrali, dagli eleganti costumi di Annalisa Giacci e dalla sapiente regia di Lamberto Lambertini. I due attori navigati e affiatati, si esibiscono con grandi abilità e mestiere, in intensi monologhi, brillanti assoli, vivaci scambi, brani cantati tradizionali e moderni, classici e lirici, supportati da una scenografia mutevole, giocata su due vecchie poltrone e un alternarsi di fondalini dipinti che, di volta in volta, caratterizzano il contesto. Un cameo colpisce: le poesie di zia Tommasina, recitate da Peppe Barra, che ammicca e coinvolge il pubblico, avvolto in una eccentrica vestaglia rossa, illuminato da un riflettore, su un palco totalmente buio.
Eleonora Sardo