È sempre interessante poter entrare nel laboratorio degli artisti e diventa quasi un appuntamento quando l’invito è dato dal progetto Manovalanza, a cura di Davide Scognamiglio, Daniele Ciprì e Adriana Follieri, con gli abitanti del rione De Gasperi, Ponticelli. In un ambiente come pochi, quale il Cisternone del Real bosco di Capodmonte, la sera di lunedì 5 luglio ’21 Manovalanza presenta “Lingue di Cane”, un testo ispirato a “Zio Vanja” di Cechov, drammaturgia e regia di Adriana Follieri. Un esiguo numero di spettatori, al crepuscolo, viene introdotto in una platea a cielo aperto e trova una prima sorpresa: lo spettacolo verrà ascoltato tramite cuffie bluetooth (debitamente igienizzate) per poter regalare quanto meno il ricordo di quell’incubazione sonora e visiva che manca agli spettatori teatrali. Sintonizzati ad una stessa frequenza radio, segnata dal colore blu, non appena la pièce inizia qualcuno ha già perso il sonoro e l’intoppo lascia immergersi in qualche riflessione di dissonanza solitiaria. Ripresa la frequenza la cuffia permette allo spettatore di immergersi isoltamente nella storia o meglio nelle suggestioni che giungono dalle azioni degli interpreti, in una scenografia di grande particolarità, curata da Emanuele Perelli: tre postazioni circondate da balle di ghiaccio a formare tre isole: un letto antico, una vasca e un cucinino. Tutta la scena è contornata da alcuni manichini vestiti da abiti che richiamano forse protagonisti di un mondo contadino ormai andato, come le spighe che contornano le tre postazioni entro le quali recitano gli attori (Angela Abate, Carmela Barone, Immacolata Bisaccia, Maria Caruso, Salvatore La Rocca, Davide Paciolla, Igor Shugaleev). La storia risulta complicata da seguire nei primi momenti per certi ritmi lenti e per una certa cripcità nella comunicazione, che cerca forse di solleticare i sensi degli spettatori, ma diventa coinvolgente in corso d’opera fino a condurre a una vera partecipazione e commozione. Il titolo (lingue di cane sono i friarielli, verdura amata partenope, ma non da tutti conosciuta con questo nomignolo), le madri che attraversano di lungo l’intera scena procamando parole quotidiane, la lingua nativa dell’attore russo, le coreografie ritualistiche stilizzate, tutto riporta ad un mondo contadino perso a causa del processo di gentrificazione, un mondo dal quale proviene ogni essere umano, e che si intreccia con quello che è diventato il mondo attuale. Ascoltando in silenzio religioso, partecipativo, quello che è lo sfogo di un amministratore di terre costretto a cambiare la proprio sorte si viene però improvvisivamente catapultati nell’oggi, al grido: “ come farò adesso a ricominciare?” . Parole temute dall’uomo distrutto accompagnato da quello che è un gesto fortissimo, liberatorio, quale la rottura delle barriere ghiacciate che isolavano gli altri essere umani sulla scena. Immagini che lo spettatore inevitabilmente rapporta a una condizione che sente vicino a sé.

Rosita De Cristofaro