E’ così distante l’immagine della donna del mondo antico da quello della società odierna? E’ possibile ancora parlare del suo ruolo? L’ attuale reinterpretazione della piece teatrale “Heroides” a cura di Elena Bucci in collaborazione con “Belle Bandiere” ha dato seguito ad un’oscillazione tra un presente quantomai retrogrado ed un passato sempre più attuale cercando di fornire un’immagine tragica e leggera della donna. Alcuni minuti di attesa e si è fatto subito buio. Sul palchetto molto basso del teatro naturale di Pietralcina l’unico uomo apparso durante tutto lo spettacolo camminava con due ottoni, bassotuba e tromba, e si sedeva in parallelo al pubblico, in fondo a destra. La musica, parte integrante della drammaturgia, si apriva come un rantolo, un grido soffocato che spezzava la tensione. Sei donne si avvicinavano incuriosite disponendosi in fila di fronte alla tromba del musicista. Sei corpi flessuosi vestiti di bianco erano incantati dalla musica di Giorgio, novello pifferaio di Hamelin, il quale guidava durante tutto lo spettacolo i loro movimenti scadendone i gesti ritmicamente. La tumultuosa nuvola bianca dava inizio ad una narrazione nella quale le attrici si ritrovavano sospese tra la loro identità, quella dei personaggi che impersonavano, le donne del Coro e quelle del nostro tempo. Attorno ad Ovidio, evocato sulla scena attraverso una sedia illuminata di bianco, le donne hanno cominciato a dare voce e corpo ad alcune eroine del mito: Fillide, Enone, Arianna, Canace, Fedra e Medea. La luce forte che aveva illuminato la sedia aveva reso visibile anche una raggiera di linee dal cui centro partivano sei linee, essa sembrava essere posta lì come ad indicare le strade che ciascuna delle donne aveva percorso e poteva ancora percorrere, mentre gli oggetti di scena rimandavano ad una mascolinità sopita, ma fortemente presente. Giorgia/Fillide, prima eletta, indossava dei pantaloni ed iniziava il suo lamento mentre le altre attrici si disponevano, proprio come un coro greco, all’ascolto e alla partecipazione rispettando questo canone antico. Le “riscritture” del “primo amore” con Andelka/Enone, “dell’abbandono” con Emanuela/Arianna, “dell’incesto”con Angela/Canace, “dell’amore impossibile” con
Fedra/Alessandra e in ultimo del “tradimento” con Maria Rosaria/Medea hanno fatto sì che si sommassero più linguaggi creando una sorta di drammaturgia stratificata dove il dialetto delle canzoni antiche si univa alle parlate straniere, alla lingua delle poesie e ai fatti di cronaca, tendendo un filo rosso della memoria che faceva riflettere sulla condizione umana, oltre che sulla donna stessa, ripiombandoci nella nostra quotidianità.

Delia Giuliano