“A volte sono i personaggi a parlare fra loro ma molto spesso sono gli attori che parlano fra loro attraverso le parole dei personaggi”. Queste, alcune delle parole del regista Gabriele Russo, con l’assistenza di Francesco Ferrara, parlando del suo Tito in scena al Bellini, in occasione del Napoli Teatro Festival sezione “Progetti Speciali”, riscrittura originale di Michele Santeramo.

La messa in scena, adattamento del Tito Andronico di Shakespeare, ripercorrendo la storia dell’opera che, ricordiamo, narra le vicende di un immaginario generale romano, Tito appunto, che si vuole vendicare della regina dei Goti, Tamora, per aver ucciso alcuni dei suoi figli, stravolge un po’ gli schemi, iniziando con l’allestimento del finale (lo spettatore lo capirà dopo), nel quale gli attori ringraziano il pubblico. Subito dopo, sempre gli attori, portano via gli oggetti di scena e preparano il palco per la scena iniziale andando, poi, a sedersi ai lati e rimanendo sempre a vista del pubblico per tutta la durata dello spettacolo: quando non sono impegnati in scena sono seduti e collaborano “fuori scena”. Inoltre è a vista anche la loro preparazione al personaggio.

Una scelta, questa, singolare e molto ben strutturata, grazie anche alle dimensioni del palco a forma di trapezio, che, ripercorrendo vagamente la struttura del Globe, primo celebre teatro elisabettiano, è di dimensioni enormi, tali da occupare buona parte della platea e da poter essere visto bene anche dai piani più alti del teatro, proprio come circa 500 anni fa.

Una corona appesa a un filo al centro del palco, contesa dai due fratelli, scatena una serie di battaglie interne per accaparrarsi l’impero. Questo è ciò che dà il via all’opera a tratti cruda, qualche volta macabra, e a tratti molto ironica soprattutto perché gli attori, Fabrizio Ferracane nel ruolo di Tito in particolare, per volere del regista, si fermano, escono dal personaggio e commentano, dando suggerimenti ai loro colleghi relativamente alla loro performance. Il tutto a suon di tango, grazie alla singolare scelta musicale del regista che riecheggia continuamente il celebra ballo argentino.

Una regia davvero particolare, direi a tratti laboratoriale, e degli attori davvero bravi, tra cui spicca Maria Laila Fernandez nel ruolo di Tamora, sono le caratteristiche principali di questa messa in scena, che però non lascia indifferenti, ma anzi, lascia spazio a tutta una serie di possibilità per chi voglia mettersi in gioco nel lavoro di riscrittura di un testo classico.

Monica Todino