Trasformazione incessante e mutamento senza fine. The Great Tamer, presentato al Politeama tra gli eventi del Napoli Teatro Festival, è un’opera sulla vita umana. La vita umana come ascesa e scoperta, fino a raggiungere lo spazio, alba del nuovo uomo kubrickiano, e come caduta, trasformazione in scheletro, fino a perdere anche quella parvenza di consistenza e diventare nulla. In conclusione non rimane che un teschio, sul proscenio, circondato dai frutti della terra e del lavoro e dal grande libro, personale e collettivo, della conoscenza. Il regista Dimitris Papaioannou viviseziona l’essere umano, lo spoglia completamente dei suoi abiti, lo riveste accuratamente. Lo spoglia e lo riveste continuamente. Una delle chiavi principali della sua stratificata opera è la ripetizione, spesso accompagnata dalla sostituzione (i bravissimi danzatori si danno il cambio nel compiere le azioni). Ripetizione e sostituzione sono due componenti tipiche della vita umana: la ripetizione costante di azioni anche banali, la sostituzione intesa come possibile generalizzazione dell’essere umano. Entrambe, inoltre, sono strumenti di attuazione del comico. The Great Tamer, nonostante la matrice filosofica, non dimentica mai, infatti, di essere un’opera spettacolare: in alcuni punti è anche dotata di vis comica, in ogni singolo “fotogramma” è uno splendido marchingegno messo in moto dal corpo umano, dalla sua capacità di imprimere a sé stesso movimento, e dalla fusione perfettamente sincronica di tali corpi. Tale marchingegno crea stupore, meraviglia barocca. Su un palcoscenico di pannelli smontabili, che nascondono sempre qualcos’altro, assistiamo a delle inattese metamorfosi dell’essere umano che diventa altro da sé, anche citazione artistica (si pensi al riferimento a Rembrandt e quello meno diretto a Millet o al Chaplin che dondola sul mondo, simbolo dell’equilibrio precario così difficile da apprendere e mantenere), immagine archetipica o fantastica, circense. Un tripudio visivo aiutato da un cast tecnico di primo livello. Le luci, il sonoro, i costumi, le scenografie sono calibrati alla perfezione e riescono a dare, in modo mutevole, impressioni di bidimensionalità e tridimensionalità, aprendo letteralmente lo sguardo dello spettatore e costringendolo a una selezione visiva di ciò che avviene in contemporanea sulla scena. Infine il movimento, un altro tassello fondamentale per un coreografo come Papaioannou che continua il percorso di importanti personalità come Pina Bausch. Il movimento in The Great Tamer è atto creativo, originario, che fa nascere la vita, la fa crescere e proliferare, la fa guerreggiare e infine la seppellisce. Un gesto meditato ma continuo, con pochi attimi di immobilismo. The Great Tamer è un’opera intensa e partecipata. Spesso impenetrabile per chi guarda ma sempre affascinante.

Francesco Mainiero