di Rosanna Fontanarosa, Master in Drammaturgia e cinematografia – Università degli Studi di Napoli Federico II

Nella giornata inaugurale della XII edizione del Napoli Teatro Festival Italia, sulle storiche tavole di legno del Teatro Sannazaro, è andato in scena Storie dal Decamerone. Il Potere.

Il sipario si apre: “il potere è la mia peste”. Questa frase riecheggia con forza nella sala gremita e il pubblico è catturato, come vittima di un incantesimo.

Il pensiero corre insistente a chiedere a ogni singolo spettatore: e invece? Qual è la tua di peste? Qual è la nostra peste? La peste covata da ognuno di noi nel malessere odierno. Sì, perché non siamo nel 1350, ma nelle nostre città di oggi, tutte così diverse eppure così uguali. Dove ormai la pioggia è più simile alla polvere che all’acqua, dove il grigio sembra essere il colore predominante anche nelle giornate di sole, dove tutti si affannano per inerzia verso una meta insignificante, inseguiti dalla propria e personale peste. Una peste, che ieri come oggi, produce disgregazione morale.

Il mirabile testo di Michele Santeramo, delicato e incisivo, fa sentire fin dalle prime battute la sua grande forza. È il terzo capitolo del suo progetto di attualizzazione del Decameron di Giovanni Boccaccio, opera in grado dopo secoli di parlare ancora all’uomo contemporaneo. Questa volta Santeramo si sofferma sul potere, utilizzando come mezzo il potere di una grande voce, quella di Claudio Santamaria, che crea immagini vivide e trasfigura il suo volto in quello dei vari personaggi, senza l’uso di effetti speciali.

Una scena vuota (due sgabelli e due leggii) sono bastati a far immergere gli spettatori nel racconto. Probabilmente una scenografia più ricca avrebbe reso difficoltoso il completo abbandono alla riflessione. Il dinamismo è costruito da movimenti semplici ma molto evocativi, come sbottonarsi i polsini della camicia e accorciarne le maniche.

La grande sensibilità artistica dell’attore romano accarezza, prende a pugni e fa stare col fiato sospeso il pubblico, che riesce a riprenderlo solo quando Santamaria si concede un sorso d’acqua dalla bottiglietta adagiata ai suoi piedi.

La cornice musicale, che talvolta risulta superflua, è costruita dalle musiche originali del maestro Francesco Mariozzi, eseguite sapientemente con violoncello.

Assistiamo alla presa di coscienza di un uomo di potere; un uomo che a modo suo cercherà di andare controcorrente e riscoprire cosa significa essere vivo. Ed è così che si ritrova in una valle, dove gli abitanti si radunano intorno al fuoco, e noi quel fuoco riusciamo a vederlo davvero. Qui il potere dalle sue mani passa direttamente alle storie. Tutti per sopravvivere hanno bisogno delle storie, per il loro potere di esorcizzare la morte e sottrarci dalla recondita paura del “passaggio”. La guarigione viene così cercata nella narrazione giusta… ed è così che anche il protagonista riesce a trovare la sua cura nella novella di Rinaldo D’Asti, tratta dal capolavoro del già citato genio fiorentino.

Lo spettacolo è estremamente godibile e gli sforzi dell’attore, dal talento indiscutibile, vengono ampiamente ripagati da un generoso applauso. La tecnica sopraffina di Santamaria è la vera star della serata. Una riuscita prova d’attore.