DA: HUGO VON HOFMANNSTHAL, EURIPIDE
REGIA: TADASHI SUZUKI
durata: 1h 15m | Paese: Giappone | Lingue: giapponese, coreano (con sottotitoli in italiano)
Teatro Mercadante19-20-21/06/2009, 20:00

PRODUZIONE: SCOT SUZUKI COMPANY OF TOGA.
CON IL SOSTEGNO DI: AGENCY FOR CULTURAL AFFAIRS – GOVERNMENT OF JAPAN.

Tadashi Suzuki è uno dei maggiori registi teatrali giapponesi: la sua ricerca artistica ha trasformato il panorama teatrale del suo paese e, direttore artistico di festival, teatri, centri culturali, è da sempre impegnato nella promozione e nella diffusione del teatro, portando in Giappone il lavoro di maestri del teatro occidentale, da Tadeusz Kantor a Bob Wilson. La sua ricerca ha superato i confini nazionali, attraverso le numerose tournée dei suoi spettacoli e, in particolare, per l’invenzione di un metodo di training attoriale che porta il suo stesso nome.
In Waiting for Orestes: Electra, il nuovo allestimento del mito greco presentato da Suzuki, il mondo interiore dei personaggi è approfondito attraverso l’ambientazione della tragedia in un ospedale psichiatrico, in cui tutti gli esseri umani sono irrimediabilmente intrappolati.
«Tutto il mondo è un ospedale e tutti gli uomini e le donne sono pazienti – questa è la convinzione che ha sempre caratterizzato le mie creazioni teatrali.
Electra non fa eccezione. Privata di tutti i rapporti familiari, la protagonista del mio spettacolo vive in solitudine, completamente muta, in un ospedale. Tutto quello che vuole è la vendetta nei confronti di chi l’ha ridotta in questo stato, ossia la madre che l’ha abbandonata. Quest’aspirazione è diventata una fantasia oscura, sempre più morbosa per via dell’impossibilità di realizzare la sua vendetta. Qual è il legame, ci si potrebbe chiedere, fra questo progetto e le sofferenze di Elettra descritte dai tragediografi dell’Antica Grecia? Credo che le agonie dello svuotamento spirituale a cui è sottoposto ogni paziente di un ospedale – condizione in cui è inevitabilmente intrap- polato – siano identiche, indipendentemente dal luogo e dal tempo. Il mio lavoro registico è stato caratterizzato dall’urgenza che sentivo di enfatizzare il fatto che nessuna creatura umana, in qualsiasi tempo e spazio, è immune dal rischio di avere una vita altrettanto folle e atro- ce. Se tutti gli uomini e tutte le donne sono pazienti di un ospedale, è logico pensare che ci siano medici e infermieri, come anche speranze di guarigione. Dal mio punto di vista, comunque, non è così. È possibile che gli infermieri siano altrettanto malati dei pazienti. E che i dottori, che dovrebbero provvedere alle cure, non esistano. Se così fosse, non ci sarebbero distinzioni fra sani e malati. Infatti. Tuttavia, anche senza l’aiuto di medici e infermieri, un essere umano almeno può dubitare, e continuare a dubitare, sul fatto di essere o meno malato. In questo senso, credo che i grandi artisti siano sempre stati dei grandi “dubbiosi”: le loro opere non sono altro che la documentazio- ne di come essi siano diventati dei “dubbiosi”. Quando tutto il mondo è un ospedale, non ci può essere alcuna speranza di guarigione. Tuttavia, credo che – anche se potrebbe essere uno sforzo vano – il compito degli artisti oggi sia proprio quello di indagare il tipo di malattie in cui siamo tutti intrappolati» – Tadashi Suzuki.