Ph Guglielmo Verrienti per Cubo Creativity Design
Contro il Progresso, Contro l’Amore, Contro la Democrazia
di Esteve Soler
regia Giovanni Meola
con Roberta Astuti, Sara Missaglia, Enrico Ottaviano, Chiara Vitiello
consulente alla drammaturgia Armando Rotondi
scenografia Flaviano Barbarisi
costumi Marina Mango
assistente alla regia Annalisa Miele
aiuto scenografo Alessandro Francione
produzione Virus Teatrali
Palazzo Reale – Cortile delle Carrozze
12 giugno 2018 ore 21.30
durata 1 ora
Il catalano Esteve Soler è uno dei drammaturghi più tradotti e rappresentati al mondo da un decennio a questa parte. La sua Trilogia dell’Indignazione è stata tradotta in diciotto lingue e rappresentata in mezzo mondo dal 2008 in poi (con quasi 100 diversi allestimenti realizzati finora.
Questa sua prima Trilogia (ne ha infatti scritto una seconda, la Trilogia della Rivoluzione) ha assorbito la lezione di Beckett, di Ionesco (e anche del miglior Bunuel), ma non solo. In questa drammaturgia surreale, nera, ironica, grottesca e disturbante, ma anche piena di pietas, c’è tutta la trasformazione antropologica, sociale, mediatica e geopolitica che noi stiamo vivendo in diretta e sulla nostra pelle in questo periodo storico, senza forse rendercene pienamente conto. La sua scrittura, invece, se ne rende perfettamente conto e ne dà conto in questi 21 atti unici di cui è composta la Trilogia.
Sì, perché la frammentazione e l’iper-voracità dell’informazione visiva, e orale, dei nostri tempi, viene tradotta in ciascuno dei tre lavori (con titoli fortemente icastici: Contro il Progresso, Contro l’Amore e Contro la Democrazia), in 7 brevi atti unici apparentemente lontani, sconnessi, variegati, ma in realtà intimamente legati, proprio come sono legate istanze ed accadimenti, apparentemente lontani, sconnessi e variegati, delle nostre vite di tutti i giorni. Soler crea una serie di micro-mondi nei quali si passa, repentinamente a volte ma mai superficialmente, dalla risata alla tragedia, dal paradosso al melodramma. Sbugiardando costantemente il luogo comune e senza avere mai alcuna verità da propinare.
«Perché, da drammaturgo, si decide di rappresentare un altro drammaturgo? – si chiede Giovanni Meola –. In primo luogo, per una consonanza di temi, umori, scarti di scrittura. Da diversi anni vedo e leggo teatro straniero, qui o all’estero, per poter verificare lo stato delle cose a seconda delle diverse latitudini. La scrittura di Soler l’ho sentita immediatamente vicina e anche lontana. Vicina, appunto, per temi, incastri, umori e spiazzamenti. Lontana per una frammentazione drammaturgica che non siamo molto abituati a frequentare nel nostro paese ma ancor più affascinante come sfida per una messinscena. In secondo luogo perché ho sentito forte l’esigenza di confronto con un artista della mia stessa generazione e di un altro paese, ma di questa stessa Europa, cuore fibrillante di una deriva di cui noi siamo allo stesso tempo vittime e carnefici.
La sfida di mettere in scena poi, con la complicità di un cast di notevoli attori, sette (e poi quattordici e poi ventuno) micro-atti unici, regala a questo progetto un valore aggiunto, in quanto a difficoltà ma anche e soprattutto in quanto a potenziale soddisfazione. Aggiungiamoci, per finire, il piacere di portare per la prima volta in Italia (grazie alla concessione dei diritti da parte dell’autore stesso) questi lavori, rappresentati in non so quanti paesi al mondo finora ma mai dalle nostre parti».