Ph Salvatore Pastore
di Ingmar Bergman
con Laetitia Casta e Raphaël Personnaz
regia Safy Nebbou
adattamento Jacques Fieschi e Safy Nebbou
assistente alla regia Natalie Beder
scenografia e collaborazione artistica Cyril Gomez-Mathieu
produzione Le Théâtre de l’Oeuvre
Le opere teatrali di Ingmar BERGMAN sono rappresentate in Francia dall’agenzia DRAMA – Suzanne SARQUIER www.dramaparis.com in accordo con la Fondation Bergman www.ingmarbergman.se e l’Agence Josef Weinberger Limited a Londra.
Teatro Politeama
3 luglio 2018 ore 21.00
4 luglio 2018 ore 19.00
Durata 1 ora e 10 min
Scènes de la vie conjugale racconta vent’anni della vita di una coppia, vent’anni di amore e di disamore, di complicità e d’incomprensione. Vent’anni di verità e di menzogne che oscillano incessantemente tra la passione e la solitudine. Una storia eterna come la notte dei tempi.
Sposati da dieci anni, Marianne e Johan sono una coppia moderna che sembra essere al riparo da qualsiasi minaccia. Tuttavia dietro un’apparenza di benessere e felicità trapela lo scontento e l’insoddisfazione. Un giorno Johan annuncia a Marianne che si è innamorato di un’altra donna e che ha intenzione di andare a vivere con lei a Roma. Comincia così una radiografia scottante delle relazioni amorose, in cui malgrado le lacerazioni e i ricongiungimenti, la coppia sembra destinata ad amarsi per sempre.
«“Ho scritto questo film per mettere ordine nel mio armadio zeppo di esperienze diverse”. Nel 1973 Liv Ullmann e Ingmar Bergman, dopo anni di vita insieme, sono ormai separati – scrive il regista Safy Nebbou. Bergman in qualche mese scrive Scènes de la vie conjugale. Girato per la televisione, l’opera si compone di sei episodi da cinquanta minuti ciascuno. Per l’uscita in sala, Bergman conserva la struttura in sei scene ma sopprime circa due ore. Questi tagli rinforzano il sentimento di claustrofobia. Oggi più che mai, in un tempo in cui viviamo una netta contrapposizione tra la relazione amorosa e il bisogno di individualismo, le parole di Bergman risuonano prepotentemente.
Lo spettacolo non si chiede mai perché, ma solo come. Assistiamo ad una separazione senza fine e a tutte le conseguenze che ne possono derivare. Non c’è riflessione a posteriori, solo il momento presente. Il dialogo è chirurgico, l’intrigo concentrato.
Amo il teatro intimista, organico, animale, spogliato di qualsiasi fronzolo. I corpi che si attraggono e si respingono, il desiderio e il disgusto, il sesso e il tradimento, la menzogna e il compromesso, la solitudine e la disperazione. In un luogo unico, un uomo e una donna si affrontano senza esclusione di colpi. Un solo luogo e due attori. Il terreno di gioco è quello della messa a nudo per far sorgere la vita palpitante in tutta la sua potenza e le sue contraddizioni. Il punto di vista proposto non prevede né giudizi, né voyeurismi: ciascuno può proiettare la propria esperienza perché spingeremo fino al parossismo la funzione catartica del teatro.
Dietro le maschere di Marianne e Johan, Laetitia Casta e Raphaël Personnaz, recitano senza recitare. In una preziosa connivenza, ognuno dei due pretende di guidare l’altro, di prevaricarlo. Vivere da soli è insopportabile, ma vivere insieme è troppo difficile. Nello spettacolo recitazione e regia sono indissolubilmente legate. I personaggi nascono da un incontro tra l’attore e il ruolo, al di là della parola, e sono caratterizzati da una accentuata corporeità, cruda e umana. Sono corpi feriti e selvaggi, fragili e potenti, che si avventurano senza giri di parole alla ricerca dell’amore assoluto, dell’amore folle, dell’amore all’ultimo respiro».