NOUS SOMMES PAREILS À CES CRAPAUDS
QUI DANS L’AUSTÈRE NUIT DES MARAIS S’APPELLENT ET NE SE VOIENT PAS, PLOYANT À LEUR CRI D’AMOUR TOUTE LA FATALITÉ DE L’UNIVERS
IDEAZIONE/CREATION BY ALI THABET E HEDI THABET
DIREZIONE MUSICALE/MUSIC DIRECTION SOFYANN BEN YOUSSEF
DI E CON/BY E WITH ARTÉMIS STAVRIDI, MATHURIN BOLZE, HEDI THABET
MUSICISTI/MUSICIANS STEFANOS FILOS, IOANNIS NIARCHOS, NIDHAL YAHYAOUI, CHARIS TSALPARA
SUONO/SOUND DESIGN JÉRÔME FÈVRE LUCI/LIGHT DESIGN ANA SAMOILOVICH
PRODUZIONE/PRODUCTION ALI THABET, HEDI THABET E LA COMPAGNIE MPTA
IN COPRODUZIONE CON/IN CO-PRODUCTION WITH CÉLESTINS – THÉÂTRE DE LYON, THÉÂTRE DU ROND POINT – PARIS
CON IL SOSTEGNO DI/WITH THE SUPPORT OF THÉÂTRE NATIONAL – BRUXELLES, LA CASCADE – PNC RHÔNE-ALPES ET DU BOIS DE L’AUNE – COMMUNAUTÉ DU PAYS D’AIX
ALI
DI E CON/BY AND WITH MATHURIN BOLZE E HEDI THABET
MUSICISTI/MUSICIANS STEFANOS FILOS, IOANNIS NIARCHOS
SUONO/SOUND DESIGN JÉRÔME FÈVRE
LUCI/LIGHT DESIGN ANA SAMOILOVICH
PRODUZIONE/PRODUCTION COMPAGNIE MPTA
CON IL SOSTEGNO DI/WITH THE SUPPORT OF LA BRÈCHE – PNC BASSE NORMANDIE, LE STUDIO LUCIEN – LYON, LES NOUVELLES SUBSISTANCES – LYON
date/dates 12, 13 luglio/july h 23.00
luogo/venue teatro nuovo
durata/running time 1h 15min
lingua/language spettacolo senza uso di parole/show without words
paese/country francia/france
I due spettacoli presentati nell’arco di questa serata sono il frutto di scambi artistici tra Hédi Thabet, Ali Thabet, Mathurin Bolze, Artémis Stavridi e Sofyann Ben Youssef.
Nous sommes pareils à ces crapauds qui… (Siamo come quei rospi che nell’austera notte degli stagni si chiamano senza vedersi, piegando tutta la fatalità dell’universo al loro grido d’amore) è l’ultimo lavoro della compagnia ed esplora il tema del matrimonio. Due uomini e una donna affrontano, attraverso diversi percorsi, i differenti volti dell’amore. Di fronte a loro un’orchestra suona principalmente il repertorio rébètiko e la musica popolare tunisina. Le voci arabe fanno eco ai canti greci in una sinfonia che racconta dolori, gioie, amori. I fratelli Thabet affrontano questo racconto in maniera elegante, senza mai cadere nello stereotipo che l’argomento potrebbe eventualmente ispirare, e quest’opera assomiglia a un piccolo gioiello cesellato con emozioni universali. La danza è ampia, violenta e sensuale, acrobatica. Incredibili salti, insolite figure di gambe che si confondono o si sostituiscono creando inquietanti illusioni e strane creature, dal mostro alla dea.
Con Ali approdiamo ad un universo più nudo. Si tratta di un piccolo lavoro che vuole comunicare un’urgenza attraverso il linguaggio non verbale: è la storia di un incontro tra due individui, o forse tra un individuo e la sua immagine di sé… Una sedia al centro del palcoscenico, una lampada, due uomini sulle stampelle, a uno dei due manca una gamba. Ali è lo spettacolo che ha riportato Hédi in scena dopo la malattia che gli ha fatto perdere la gamba. Ciò che si respira immediatamente, al di là dell’opera, è una fortissima storia di amicizia.
Nonostante siano stati creati a cinque anni di distanza, questi due spettacoli sono intrinsecamente legati perché affrontano il tema dell’alterità, dell’ambiguità e del desiderio. Il rébètiko, musica dell’inizio del XX secolo nata dalla diaspora dei greci dell’Asia minore, contribuisce a sottolineare questo legame.