La Compagnia Nest, Napoli Est Teatro, porta in scena Bufale e Liùne, riadattamento in unico testo, ad opera di Enrico Ianniello, di due terzi della trilogia di Pau Mirò, nel passato rappresentata sempre in tre riduzioni indipendenti.
La vicenda, originariamente inquadrata nel quartiere Raval di Barcellona, è stata ripensata, nell’originale adattamento di Ianniello, nei vicoli di San Giovanni a Teduccio, periferia est di Napoli.
In una iniziale atmosfera cieca, rotta solo dai fasci di luce del light designer Luigi Biondi, concentrati su alcuni elementi che caratterizzano l’ambiente scenografico (una lavanderia di quartiere), la voce narrante recita, in lingua napoletana, monologhi tratti da Bufale, che raccontano vecchie dolorose vicende familiari.
Max scompare improvvisamente, inducendo la paralisi della sorella Sara, costretta in sedia a rotelle, sempre abbigliata in un nostalgico abbigliamento da ballerina, che mette in evidenza quelli sciatti e dismessi dei genitori. Questo filo narrativo si interseca con l’azione scenica tratta da Liùne, concentrata sul presente: alla lavanderia si presenta, durante una notte di luna piena, il giovane Davide, che si sfila e consegna la camicia sporca di sangue, perché venga subito lavata.
La famiglia di Sara, che gestisce l’attività, lo asseconda e lo accudisce, proteggendolo dal commissario, sopraggiunto alla ricerca dell’assassino di Vincenzo, spacciatore di quartiere, ma imbrigliandolo in una ragnatela di frustrazioni, ricatti e latente violenza.
I personaggi sono accomunati dalla circostanza di vivere e sopportare ognuno il proprio bagaglio di dolore e rabbia, scegliendo di “passare a largo della verità”, silenziando ogni pena con un bicchiere di latte e cioccolato alla sera: “i problemi arrivano e se tieni pazienza se ne vanno, la vita continua”.
È un equilibrio familiare instabile, alterato dalla scelta di Sara di lasciare la sedia a rotelle e, con essa, quella vita di rinunce e immobilismo, nella quale sarà fatalmente rimpiazzata dalla madre, che ne prende il posto sulla sedia.
Sebbene la lingua utilizzata, prevalentemente napoletana, sia incline per natura ad una lettura ironica, la trama si mantiene lontana da ogni tentazione comica, mentre i personaggi sembrano mossi da una particolare ansia comunicativa: Davide e Sara utilizzando l’italiano, i genitori preferendo il napoletano, lingua istintiva e viscerale.
Il regista Giuseppe Miale Di Mauro, abile nel fondere organicamente le due opere di Mirò, ha scelto un’impronta scenografica scarna ma di intenso impatto, avvalendosi anche della proficua complicità della rappresentazione a cielo aperto.
Eleonora Sardo