Il Teatro Nuovo di Napoli il 29 giugno ha offerto il palco alla prima nazionale di “Mar”, creazione collettiva del Teatro de Los Andes e Aristides Vargas che firma anche il testo e la regia dello spettacolo.

 

Il lavoro del drammaturgo argentino Aristides Vargas si fonda sulla mancanza di quel mare che diviene, dunque, una presenza-assenza durante tutta l’opera. “Mar” è costruito come metafora della sensazione di tristezza e di impotenza che l’assenza di uno sbocco sull’oceano provoca nei boliviani. La Bolivia ha, infatti, perso la costa durante la guerra del Pacifico col Cile nell’Ottocento e, da allora, mai più l’ha recuperata.
La storia è quella di tre fratelli, Segundo, Juana e Miguel (Gonzalo Callejas, Alice Guimaraes e Lucas Achirico ), che decidono di intraprendere un viaggio per realizzare l’ultimo desiderio della madre morente: essere portata al mare e poter morire lì, dove non è mai stata.
Il viaggio attraverso il deserto di sale affrontato dai tre protagonisti, che trasportano la madre su una porta-lettiga, si rivela fondamentale per lo snodo ed il racconto di tante altre piccole vicende, miti e storielle sempre incentrate sul tema fondante della perdita, raccontate anche attraverso canzoni e danze popolari. La profondità del messaggio civile, che l’opera di Vargas porta con sé, si avverte nella performance degli attori, perfettamente consapevoli del difficile compito al quale sono dediti. I protagonisti accompagnano la recitazione con armoniosi movimenti del corpo, spostando continuamente anche gli oggetti di scena, quasi a voler simulare e riprodurre il perpetuo moto ondoso del mare.
La scenografia è essenziale ma al contempo ricercata e risulta essere costituita dalla porta, su cui giace simbolicamente la madre in fin di vita, che viene via via decorata intorno alla fotografia della donna per poi essere letteralmente smembrata e dal telone bianco, secondo elemento portante dello spazio scenico, che rappresenta il mare e che si eleva a varie altezze per rappresentare i paesaggi richiesti dal viaggio funerario. Vargas riesce a trasmettere, dunque, il proprio pensiero su ciò che non c’è più e chiude l’opera con il doppio addio alla madre e al “mar perdido” della Bolivia.
Daniela Sorrentino