Le due ore di spettacolo e la temperatura insolente non sono bastate ad intimorire il pubblico che, lunedì 15 giugno, riempiva la Sala dei cannoni a Castel Sant’Elmo. In scena La riunificazione delle due Coree di Joel Pommerat (già portato al Festival in versione originale due anni fa), tradotto da Caterina Gozzi, riscritto da Simona Lisi per la regia di Alfonso Postiglione.

Nove attori per cinquantuno personaggi da interpretare; Sara Alzetta, Giandomenico Cupaiuolo, Biagio Forestieri, Laura Graziosi, Gaia Insenga, Armando Iovino, Aglaia Mora, Paolo Musio e Giulia Weber si sono susseguiti in una staffetta di amori malati, più o meno soddisfacenti, inutili, assurdi, abitudinari, violenti. Tema centrale del testo teatrale sono le mille sfaccettature dell’amore: dalla donna che istericamente si rifiuta di lasciar andare via la compagna che non la ama più a quella che si illude dell’improbabile cambiamento del marito aggressivo; dalla coppia di cinquantenni legata ormai solo dall’affetto per i figli alla coppia di trentenni che si frantuma proprio per l’assenza di figli, passando per bizzarri quadretti di tradimenti, bugie e piccoli intoppi tipici del mondo amoroso, dove le psicologie femminili sono chiaramente preponderanti rispetto a quelle maschili. Certo, le storie non saranno originali ma probabilmente in amore non esiste che il già accaduto: le scene dirette da Postiglione sono davvero spaccati di vita quotidiana che ci circondano fuori dai teatri. Il sottile umorismo francese, talvolta, permette anche di trasformare in comici piccoli momenti di tragicità.

I costumi di Marianna Carbone sono essenziali; il tema dell’impermeabile che accomuna tutti i personaggi rendendoli anonimi e uguali sotto le piogge è particolarmente forte in apertura e in chiusura, quando i nove attori occupano contemporaneamente la scena.

Pochi gli oggetti di scena ma, in compenso, fortemente simbolici: una scala, un peluche, un velo e un bouquet di un matrimonio che muore sul nascere, i pattini di una corsa liberatoria finale e poco altro. Anche le rare musiche accompagnano discretamente le vicende.

Al centro del palcoscenico un meccanismo luminoso segna il cambio di scena con un rintocco metallico e sembra manovrare le storie narrate come fossero fasi diverse di uno stesso congegno.

Alla fine dello spettacolo forse si riesce anche a chiarire il titolo dell’opera, in apparenza fuorviante: la riunificazione delle due Coree potrebbe essere ardua almeno quanto la riconciliazione in amore.

Silvia Di Bello