Prendi quattromila bengala gialli e mettili fra la paglia del cortile. Nessuno potrà evitare che succeda ciò che deve succedere.

 

C’è una casa con pareti di lenzuola bianchissime che ondeggiano al vento. Ci sono i rintocchi insistenti delle campane. C’è una serva che pulisce il pavimento e, insieme a lei, una donna chiamata La Ponzia. C’è anche il nero degli abiti e un corteo funebre che percorre le strade del paese. Alcune donne hanno veli calati sul volto e solo quando entrano in casa, mentre si leva alto il lamento della serva, possono sollevarli per mostrare il viso: la donna è Bernarda Alba e con lei arrivano in scena le cinque figlie. Il defunto è il secondo marito della donna. Il paese è Sant’Angelo dei Lombardi.

 

Novità dell’edizione 2016 del Napoli Teatro Festival Italia è il Region Fest, una rassegna di spettacoli che coinvolge tutta la regione Campania, nel tentativo di portare il grande teatro nei piccoli centri. Ecco perché il borgo irpino è stato scelto dalla compagnia Femminile Plurale per mettere in scena, il 29 e il 30 giugno, La casa di Bernarda Alba, ultima opera scritta da Federico Garcìa Lorca, nel 1936, due mesi prima della morte per mano dei falangisti.

 

La Bernarda diretta da Alessandra Asuni e Marina Rippa è una donna insensibile, prepotente e tirannica, che tiene in suo potere l’intera casa e chi con lei vive. In nome di un onore accecante, preclude alle sue cinque figlie il mondo esterno e tutta l’umanità che intorno alla casa si muove, oltre l’uscio, oltre le finestre sempre chiuse. Allora Angustias, Maddalena, Amelia, Martirio, Adele, tutte esasperate da un assurdo isolamento, hanno la colpa di voler vivere, e di dibattersi “senza pace, tremanti e spaventate” alla ricerca di riscatto dalla claustrofobica realtà domestica. Insieme a loro c’è la nonna Maria Josefa, figura antitetica a Bernarda, ma altrettanto potente da poter dichiarare a voce alta, seppure sotto lo schermo della follia, ciò che le ragazze sono autorizzate soltanto a pensare. Farneticando del matrimonio, della maternità, degli uomini, la donna solleva una richiesta chiara e disperata di libertà, quasi un inno, che coincide con l’esigenza viscerale e soffocata delle nipoti.

 

Ma se alle ragazze è impedito affacciarsi sul mondo, sarà il mondo stesso a spingersi negli angoli più in ombra della loro casa e a dibattersi nel loro petto, spesso ansimante di una violenta carica erotica. E Pepe il Romano, un uomo solo evocato, eppure presente in ogni azione del dramma, sarà proprio la scintilla di realtà in grado di condurre l’equilibrio brutalmente creato da Bernarda alla deflagrazione finale e inesorabile.

 

Gli elementi della scenografia sono pochi ed essenziali, nel rispetto di un testo già infuocato, che non ha bisogno di ornamenti superflui. Il borgo di Sant’Angelo ingloba la scena e allo stesso tempo ne diventa parte. Le case, i balconi, le stradine, tutto diventa una scenografia più ampia, enorme, in cui lo spettatore stesso è autorizzato ad entrare. Infine, grazie al progetto di residenza che ha preceduto lo spettacolo (tra l’altro gratuito), l’opera di Garcìa Lorca sembra essere finalmente restituita al pubblico che l’autore reclamava, il popolo, in un ammirevole sforzo di contaminazione fra scena e territorio, fra attrici e persone del luogo.

 

Francesco Ferrara