di Rossella Iodici, Master in Drammaturgia e cinematografia – Università degli Studi di Napoli Federico II
Tanti piccoli silenzi fanno Il silenzio Grande. Questo il titolo della commedia in due atti scritta da Maurizio De Giovanni con la regia di Alessandro Gassmann, che ha debuttato come prima assoluta presso il Teatro Trianon-Viviani, in occasione della dodicesima edizione del Napoli Teatro Festival Italia.
Dopo il successo del riadattamento di Qualcuno volò sul nido del cuculo, De Giovanni e Gassmann tornano insieme a teatro per raccontare la complessità dei rapporti familiari, il non detto, i sentimenti inespressi, quelle verità che aspettano sempre “domani” per confessarsi.
La storia è quella di Valerio Rimic (interpretato dall’abilissimo Massimiliano Gallo, credibile e coinvolgente), scrittore di successo, vincitore di tre premi Strega, intellettuale dalla personalità ridondante e a tratti malinconica, al suo fianco Bettina (l’applauditissima Monica Nappo), cameriera e confidente, nonché coscienza del protagonista e ambasciatrice di una antica saggezza popolare che ancora riesce a cogliere i “rumori” velati nei silenzi. Insieme danno vita a esilaranti sketch comici ma, allo stesso tempo, anche a momenti di grande emotività.
La scena creata da Gianluca Amodio è un’elegante e maestosa stanza-studio, le cui pareti sono ricoperte da libri, ordinati dal protagonista in maniera personalissima secondo “un criterio di omogeneità emotiva”. È questo lo spazio vitale nel quale si alternano le ritmiche entrate ed uscite degli altri personaggi, i quali condividono l’esigenza di manifestare le proprie inquietudini allo scrittore padre e marito. Ecco allora la rancorosa moglie Rose (Stefania Rocca) che gli rimprovera il suo disinteresse nelle questioni familiari, il figlio Massimiliano (Jacopo Sorbini) che confessa se stesso e il disprezzo che a tratti prova per le sue mancanze e per il luogo in cui Valerio si è volutamente intrappolato. Infine la figlia (Paola Senatore), voce fuori dal coro, che lo ammira fino al punto di cercare negli uomini l’immagine del padre stesso, implicandosi di conseguenza in situazioni sentimentali molto complesse da gestire.
Ogni personaggio porta con sé una piccola tragedia minimale, che celata nel tempo in piccoli silenzi ha dato vita a profondi turbamenti. La stanza viene così ad essere un grande contenitore di emozioni e simulacro di rancori, ma allo stesso tempo luogo sacro in cui essere se stessi, dove si può esplicitare il malessere e chiarire l’amore.
La regia di Alessandro Gassmann spicca per modernità e ingegno, la quarta parete si può così toccare con mano, un telo trasparente sul quale vengono cinematograficamente proiettati ricordi e pensieri. L’effetto, già delizia per gli occhi, collabora con il testo, esaltandolo, portando in teatro quella fotogenia tanto cara al cinema.
Nel secondo atto, quando i libri vengono impacchettati in grandi scatoloni e messi da parte insieme ai rancori, lo spettacolo ha una svolta e da semplice, seppur validissima, commedia borghese si tramuta in un dramma ricco di sfumature, più propenso alla riflessione che all’esibizione.
Resta il finale, che sotto il segno del maestro del giallo De Giovanni è tutto da scoprire…