di Roberta Verde – Master in Drammaturgia e Cinematografia, Università degli Studi di Napoli Federico II
«‘E llacreme hann” a cad’ ‘nterra e po’ hann”a ruciulia’ pe’ tutto ‘o munno, comme a ‘na catena…». Le lacrime, i dolori, i sacrifici delle donne. Storie laceranti di amori negati, di passioni, di ribellioni, di libertà: questo variegato coro di voci femminili è il tessuto con cui l’autrice e interprete Wanda Marasco si cuce addosso uno spettacolo coinvolgente ed emozionante, confermando di possedere un registro interpretativo completo, frutto, oltre che della sua formazione giovanile presso l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, di un talento innato. Giulietta e le altre, andato in scena presso la Sala Assoli in prima assoluta il 13 e il 14 giugno 2019 in occasione del Napoli Teatro Festival, è una felice riscrittura delle vicende e dei sentimenti di cinque famosi personaggi femminili teatrali: la Giulietta del titolo è ovviamente l’eroina adolescente nata dalla penna di Shakespeare; c’è poi la Medea di Euripide, vittima delle proprie pulsioni e ancora Nora, protagonista di Casa di bambola di Ibsen. Il testimone passa poi ad Antigone, l’eroina ribelle della tragedia di Sofocle e infine Filumena “la napoletana”, omaggio di Eduardo De Filippo alla sorella Titina. Riannoda questi fili narrativi una balia, metafora del teatro, sempre interpretata dalla Marasco, custode e confidente affettuosa di queste donne “invecchiate ma mai morte”. La balia appare in scena parlando a voce bassa e con gesti frenetici governa la casa, prepara la tavola, ma soprattutto cucina il pane, elemento a cui l’autrice conferisce grande valore simbolico. Il pane è l’energia che deve restituire senso e anima al teatro; proprio durante l’attesa della sua cottura le protagoniste descriveranno con enfasi le proprie vicende. Al termine attorno a questo cibo umile si riuniranno tutte le donne per mangiare in un clima di comunione, dove il dolore si stempera nel delicato profumo del pane fragrante, simbolo di una condivisione autentica che dovrebbe nascere anche nella vita reale, al fine di creare una rete di anime. La gestualità misurata e incisiva della Marasco unita a una grande empatia con il pubblico al quale sovente si rivolge, crea un’esperienza catartica, resa ancora più suggestiva dall’intimità della Sala Assoli. Benché i ritratti femminili siano tutti molto incisivi, emergono con forza Medea e Filumena, binomio antitetico, emblemi dell’amore materno portato all’estremo. Ma è soprattutto la travolgente napoletanità della protagonista defilippiana a suscitare gli ampi consensi del pubblico, che più di una volta è stato “costretto” a trattenere gli applausi per non disturbare la messa in scena. La regia dello spettacolo, affidata a Ettore Nigro, è discreta e pulita e dà grande spazio di manovra all’interprete. Da sottolineare il lavoro operato dalle luci (a cura di Arturo Scognamiglio) che “dialogano” con l’attrice evidenziandone gli stati d’animo. Essenziali gli elementi scenici: un tavolo polifunzionale, cinque sedie, un coltello, alcune lanterne. Semplice e atemporale anche la scelta del costume di scena di Annalisa Ciaramella: un lungo abito color ottanio sul quale spiccano i lunghi e lucidi capelli castano chiaro della Marasco. Menzione a parte merita un grande drappo rosso, colore simbolo allo stesso tempo di passione e di morte. Questo spettacolo segna il saluto della Marasco al teatro, come riferisce lei stessa: «non ho potuto vivere come avrei voluto».