Confini, uno spettacolo di Davide Sacco e Agata Tomsic / Erosanteros, è andato in scena il 3 e 4 luglio al Campania Teatro Festival al Casino della Regina di Capodimonte. Presentato come “uno spettacolo sulle migrazioni del passato, del presente e del futuro, un’opera sulla storia politica, economica e industriale dell’Unione europea, un monito sull’emergenza climatica e l’avvenire dell’umanità sulla Terra e nello spazio infinito”, si rivela fedele alle intenzioni delle note di regia. Nei suoi diversi “capitoli” si dipana una storia intricata, che dal passato postbellico giunge al nostro presente e azzarda profezie sul futuro. Al centro della vicenda ci sono le storie spesso disperate degli italiani emigrati nel secondo dopoguerra al Nord Europa, alla ricerca di un lavoro e di una vita migliore. Tre uomini, interpretati da Hervé Goffins, Sanders Lorena e Djibril Mbaye, ci raccontano il loro viaggio dall’Italia al Lussemburgo. La gioia per una possibilità di vita, negata nel paese d’origine, si trasforma però nella nostalgia della lontananza, nella ghettizzazione e discriminazione per la propria nazionalità, nella spossatezza delle terribili condizioni lavorative delle miniere, a cui gli imprenditori sono totalmente indifferenti. Ai due lati della scena intervengono di volta in volta Agata Tomsic e Emanuela Villagrossi, che interpretano la voce della storia ricordandoci le vicende di creazione dell’Unione Europea con i suoi risolti politici, sociali ed economici. Nello schermo sullo sfondo, invece, le registrazioni video di Marco Lorenzini evocano i politici/potenti di turno. Il tema centrale delle migrazioni si intreccia a quello dell’identità e al suo rischio di perdersi e frantumarsi trasformando il migrante in un apolide senza radici. Emerge al contempo l’inevitabilità della migrazione, fenomeno che sta a fondamento della stessa civiltà umana. Critica la visione nei confronti del sogno unitario d’Europa, il sogno di un superstato che vuole abolire le differenze e permettere una libera e prosperosa economia: un sogno che si frantuma, nei decenni, insieme alle vite dei personaggi. Il pubblico è travolto da una prospettiva estremamente pessimistica che, insieme alla distopia futuristica verso cui devia alla fine lo spettacolo, abbraccia episodi a noi vicinissimi. Fatta di lastre di metallo, che riportano alle miniere ma che servono anche da strumenti musicali “suonati” dalle attrici, la scenografia abbraccia l’intero spazio. L’utilizzo delle nuove tecnologie e delle lingue diverse (italiano, francese, tedesco, inglese) animano invece la recitazione, molto narrativa e verbosa. Confini è un lungo viaggio nella storia, nei suoi risvolti più oscuri e problematici, un viaggio scomodo, che certamente non lascia lo spettatore indifferente.
Salvatore Cammisa