di Roberta Verde – Master in Drammaturgia e Cinematografia, Università degli Studi di Napoli Federico II

La sezione osservatorio della dodicesima edizione del Napoli Teatro Festival si è aperta lo scorso 13 giugno con Terra ‘e nisciuno. Movimenti anacronistici in un quadro per la regia di Ciro Pellegrino, che ne è anche interprete. Da subito Terra ‘e nisciuno si presenta come uno spettacolo diverso dal solito; già l’atmosfera che si respira nel foyer della Galleria Toledo è particolare, un po’ inquietante per via della inusuale presenza di forze dell’ordine. Vige il divieto assoluto di scattare foto ufficiali e questo perché a calcare le tavole del palcoscenico sono sette ragazze minorenni provenienti dall’Istituto penale femminile di Nisida. È dunque un clima d’attesa quello che si vive all’interno della Galleria Toledo, che accoglie gli spettatori nella semioscurità. Non c’è sipario, ma si percepisce da subito la presenza emozionata (ed emozionante) delle ragazze che, nei lunghi costumi bianchi che le rendono simili a spettri, sono posizionate in scena, in attesa dell’inizio dello spettacolo. Il testo di Roberto Del Gaudio, cofondatore del gruppo “I virtuosi di San Martino”, si configura immediatamente come una “palestra dell’emotività” dove le ragazze di Nisida, supportate da Marcella Albano al violino e Ciro Pellegrino, possono finalmente liberarsi, sia pure per pochi minuti, dalle proprie sofferenze e dalla parte negativa del proprio vissuto. Come evidenzia Del Gaudio nelle note di regia, l’idea che domina questo spettacolo è «l’idea della Terra, […] la Mater, intesa quale Dea Madre, progenitrice». Difatti il palco è coperto da vero terriccio, che gli attori calpestano a piedi nudi, talvolta lanciandolo involontariamente durante i movimenti, al pubblico seduto nelle primissime file laterali. Ciò che colpisce della scarna scenografia, curata da Federica Labattaglia, sono i sacchetti della spazzatura che delimitano gli angoli del palco, rappresentazione estremizzata del negativo, di ciò che deve essere buttato via e dimenticato. Il terriccio però è arido, simbolo di una mancata speranza. Anche le sette rose che verranno trovate tra la spazzatura si presentano come simbolo di femminilità e purezza negata, schiacciata, non espressa. In realtà questo spettacolo non racconta una vera e propria storia: sono racconti di «Sette Peccati, sette Madonne, sette Sibille […]. Una favola sognante al femminile per sette viaggi mancati e compiuti». Ogni ragazza ha una valigia, con dentro oggetti, vestiti, scarpe che raccontano i loro desideri e i loro sogni. C’è chi voleva fare la ballerina, chi nella valigia ha un vestito da sposa… vite negate racchiuse nei loro bagagli. Figura quasi mistica quella di Ciro Pellegrino, narratore e confidente delle loro pene. Le premesse per uno spettacolo coinvolgente e di forte impatto c’erano tutte, ma la messa in scena si perde un po’ troppo in metafore e simbolismi che “affogano” la rappresentazione e il suo messaggio. La recitazione risulta comunque spontanea. Lo spettacolo, che ha una partitura gestuale molto complessa curata da Olimpia Panariello, vuole anche essere un  omaggio alla coreografa Pina Bausch e al suo innovativo lavoro sull’interpretazione personale della forma.