di Roberta Verde, Master in Drammaturgia e Cinematografia – Università degli Studi di Napoli Federico II

Inafferrabile come la donna a cui presta il suo volto e sensuale come il lenzuolo di seta bianco che avvolge il corpo longilineo, Nunzia Antonino dà prova in Schiapparelli Life di una grande maestria recitativa, interpretando un personaggio non semplice: Elsa Schiapparelli, una delle figure più eccentriche e influenti nel panorama della moda del XX secolo. Aristocratica, vulcanica, sopra le righe, originale, creativa; tanti sono gli aggettivi attribuibili a questa figura iconica, creatrice del celebre “rosa shocking”, colore che ha segnato la storia della moda. Un rosa che sconvolge e affascina il pubblico femminile, ieri come oggi: infatti un esercito rosa ha pacificamente invaso la Sala Assoli lo scorso 8 luglio, prima data dello spettacolo in occasione del Napoli Teatro Festival. Il lavoro teatrale, per la regia di Carlo Bruni, racconta nell’arco temporale di una notte tutta la vita della stilista, divisa tra successi e grandi drammi: un’infanzia difficile vissuta senza affetto perché i genitori avrebbero preferito un maschio, un matrimonio fallito, una figlia, Gogo, che ben presto si ammala di poliomielite, i primi contatti con i dadaisti, i successi che la portarono a diventare un’artista della moda di fama mondiale, i duri contrasti con Coco Chanel. Durante la sua vita, Elsa Schiapparelli ha collaborato con figure del calibro di Salvador Dalì, Jean Cocteau, Man Ray, Leonor Fini, Alberto Giacometti, Raoul Dufy, Cecil Beaton e ha vestito dive come Katharine Hepburn, Lauren Bacall, Greta Garbo, Marlene Dietrich. Anarchica e rivoluzionaria, oltre che per gli abiti atipici e particolari, la Schiapparelli è nota anche per i suoi stravaganti accessori: su tutti il cappello-scarpa, disegnato per lei da Dalì tra il 1937 e il 1938. A questi stessi anni risale il suo abito più noto, l’abito-aragosta, sempre creato in collaborazione con l’artista spagnolo. Ed è proprio questo abito di rottura, sfacciato, di un bianco assoluto dove spicca l’immagine di una grande aragosta, a essere il fulcro dello spettacolo, a catalizzare il pubblico. Il racconto procede per gradi e conserva una coerenza cronologica. Elsa/Nunzia affronta questo viaggio nei ricordi grazie all’aiuto di una figura misteriosa, il maggiordomo Pascal, interpretato da Marco Grossi – si rivelerà poi essere un manichino – che via via che il racconto procede prende le fattezze ora di un amante, ora della figlia… Tutto l’impianto scenico, dalle musiche alle luci ai costumi (ovviamente!) restituisce una dimensione onirica, sospesa tra la gioia di una vita vissuta in maniera libera e il dramma di una donna che non è riuscita, proprio in virtù di questa libertà tante volte reclamata, a costruire un rapporto solido con il suo affetto più caro, la figlia Gogo. In questo spettacolo emerge la complessità di rendere in maniera completa una personalità così multiforme e policroma ma i numerosi spunti di riflessione che vengo dati al pubblico testimoniano che dietro questa messa in scena c’è stato un lungo e approfondito lavoro di studio sul personaggio e sulle sue mille sfumature. Della scenografia di Maurizio Agostinetto, che lascia ampio spazio di visione al fondale dove vengono proposte immagini in movimento stravaganti come la protagonista, colpisce soprattutto l’immenso letto bianco la cui testiera è formata dalla metà di una gabbia. Anche attraverso questo elemento simbolico si sottolinea la voglia di evasione della Schiapparelli dalle “costrizioni” della moda di inizio secolo (si pensi ai busti); è altrettanto palese, però, il riferimento alle “gabbie” di Giacometti, noto scultore suo amico. Il testo è di Eleonora Mazzoni ed è stato tratto dall’autobiografia “Shocking life” che la Schiapparelli scrisse nei primi anni Cinquanta