La società uccide, i suoi micronuclei, la famiglia in primis, logorano, e la difficoltà dei rapporti umani supera quella di qualsiasi teorema: ecco i principali temi de Il gatto, spettacolo in scena al teatro Nuovo per l’Ntfi, adattato da Fabio Bussotti dall’omonimo romanzo di Georges Simenon, per la regia di Roberto Valerio.
Dietro un plot all’apparenza lineare, si cela un intreccio psicologico fatto di angosce, di nevrosi e di piccoli quanto gravosi giochetti di potere che, a lungo andare, caratterizzano le dinamiche interne di una coppia. Entrambi vedovi, la ricca Marguerite e il rude operaio Emile decidono di convolare a nozze sebbene, a causa dell’incommensurabile diversità caratteriale, di fondo non si siano mai piaciuti: per questo motivo, i due sono ancorati al loro passato, lei con la nostalgia del marito musicista, lui che non ha elaborato fino in fondo il lutto della defunta moglie. Come si evince dal titolo, il pretesto per il quale i due finiscono ad odiarsi e a non parlarsi più, se non per mezzo di bigliettini scritti, è la ferma convinzione, da parte di Emile, che Marguerite abbia ucciso il suo amato gatto Giuseppe. Dalla morte del felino, entrambi i coniugi vivranno con l’ansia di essere avvelenati, dividendo così le dispense, chiuse a chiave, e consumando separatamente i propri pasti. In questa macchinazione da brivido, a testimonianza di come i nervi dei protagonisti siano a fior di pelle, non mancano particolari laidi, o toccanti, che la rendono senz’altro più incisiva. La prova attoriale da parte di Elia Schilton e Alvia Reale è stata degna di nota: accompagnati da musiche da film thriller anni Settanta, quando non trova spazio la parola, i due utilizzano un notevole linguaggio del corpo grazie al quale, andando oltre i confini del concreto, interpretano anche visioni oniriche e stati d’animo, rendendo alla perfezione l’idea dell’inquietante disagio della pièce. Silvia Maino, invece, interpreta magistralmente una vicina di casa impicciona e bigotta, personaggio chiave della rappresentazione, utile a far comprendere sia il punto di vista esterno che quello interno. Ad accompagnare gli attori, un sapiente gioco di luci ha contribuito a rendere lo spettacolo decisamente più suggestivo, valorizzando i punti nevralgici dell’essenziale scenografia, composta da due poltrone, altrettante sedie, un tavolo e una rampa di scale.
Paolo Leardi
Master in Drammaturgia e cinematografia
Università degli Studi di Napoli Federico II