A più di dieci anni dal debutto, il Teatro dell’Elfo sceglie di riallestire la sua versione di Angels in America. L’edizione del 2019 sarà radicalmente rinnovata nel cast degli interpreti più giovani, a partire dal ruolo protagonista di Prior che sarà affidato ad Angelo Di Genio, attore premiato con il premio Mariangela Melato 2017 e il Premio ANCT Associazione Nazionale Critici di Teatro 2016. Sono invece confermati alla guida della compagnia gli attori: Elio De Capitani, Ida Marinelli, Cristina Crippa, accanto all’inquietante angelo di Sara Borsarelli.
Per riscoprire insieme la storia di questo spettacolo – in scena al Teatro Politeama il 20 e 21 giugno – vi inviamo a leggere la recensione a firma del critico Renato Palazzi pubblicata su Il Sole 24 Ore nel 2007.
ANGELI CUSTODI DI DOLORI ATTUALI
Tutto ciò di cui Angels in America ci parla appartiene a un passato recente ma non ancora storicizzato, un passato che ci rimane attaccato addosso, che impronta la nostra vita, il nostro inconscio collettivo. I temi trattati dal testo, l’incubo dell’Aids, in primo luogo, ma anche l’abuso di pasticche o il buco nell’ozono, hanno forse perso una parte della loro urgenza, ma restano sospesi su di noi. Scavare in questa materia è dunque un po’ un interrogarsi su quello che siamo.
Nella celebre pièce di Tony Kushner, vincitrice nel ’93 del premio Pulitzer, ognuna delle diverse vicende incrociate – quella di Roy Cnhn, il potente e corrotto avvocato condannato dal virus, quella del giovane Louis che non riesce a stare vicino al compagno morente, quella dell’emblematica coppia formata da Harper e Joe, lei preda dei deliri causati dagli psicofarmaci e lui che non ha il coraggio di accettare la propria omosessualità – è strettamente calata nel suo tempo, e ognuna di esse assurge a metafora che quel tempo aspira a raccontarcelo da una prospettiva più ampia.
Kushner dipinge un inquieto ritratto degli anni Ottanta: ma quegli anni Ottanta debordano dai loro confini circoscritti, si affacciano su tali abissi spirituali da comporre una sorta di affresco dantesco: ogni atto, ogni parola dei personaggi affonda nello sgomento di un’epoca, ma l’incertezza diffusa, la crisi delle identità politiche, etniche, sessuali è il culmine di un processo e il preludio al suo andamento successivo. Per certi aspetti, rappresentare oggi la pièce ha quasi più senso di quanto ne avesse una decina d’anni fa.
Il Teatro dell’Elfo, dopo la “prima” dello scorso maggio a Modena, riprende ora lo spettacolo nella sua sede milanese, sul palco trasformato in un grande spazio vuoto delimitato da pareti di finti mattoni e via via attraversato da pochi arredi allusivi: la realtà di questo luogo disadorno è spezzata di continuo dalle proiezioni sui muri di cieli tempestosi e fiamme infernali, dalle musiche sottilmente evocative, dalla scelta di affidare dei ruoli maschili alle attrici, accentuando i toni allucinati anche più di quanto non faccia l’angelo vendicatore che appare platealmente alla fine.
Il testo di Kushner si adatta bene allo stile della compagnia, che vi ritrova quegli spunti acremente trasgressivi da cui è caratterizzata la sua storia, ma innervati da suggestioni visionarie – fantasmi, miraggi – che stimolano la fantasia dei due registi, Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, bravi inoltre nel dosare ironia e pietà, guizzi graffianti e presagi apocalittici. Fra gli interpreti spicca lo stesso De Capitani, un Roy Cohn di impressionante risalto.