Luigi Angelone – Master in Drammaturgia e cinematografia, Università degli Studi di Napoli Federico II
“Io comando, io dico, gli altri fanno”. Con questa perentoria espressione ha inizio il monologo sul potere, terzo capitolo del progetto drammaturgico di Michele Santeramo dal titolo Storie dal Decamerone, andato in scena al teatro Sannazaro nella giornata di apertura della dodicesima edizione del Napoli Teatro Festival.
È affidato a Claudio Santamaria il ruolo principale di questa libera rivisitazione a posteriori della celebre opera di Giovanni Boccaccio. L’attore romano è chiamato a calarsi nei panni di un uomo di potere alle prese con la propria coscienza: egli ha avuto nelle proprie mani il destino di milioni di individui e la possibilità di gestirne le vite come pedine su di una scacchiera, ma ora avverte l’esigenza di sottoporre il suo operato a una complessiva riconsiderazione. Entrerà in contatto con una dimensione a lui sconosciuta fino a quel momento; una realtà fatta di storie, di racconti nel racconto, di uomini costretti a scontrarsi con una serie di circostanze a loro avverse che paiono ordinate secondo un perverso disegno del quale lui stesso, l’uomo di potere, ne è stato l’involontario artefice.
Il potere viene presentato come la peste dei nostri tempi, celato nelle subdole vesti di un nuovo regolatore della dinamica demografica (“alcuni devono necessariamente morire perché altri vivano”, gli si sente dire).
Rovelli mentali di un personaggio alla disperata ricerca di una cura, la quale viene indicata nel racconto stesso, nel novellare. La novella come via di fuga dal disfacimento morale, il narrare come modo per recuperare un rapporto più umano con la società degli ultimi, un percorso terapeutico per tentare di ricostituire quel tessuto di relazioni sociali che è andato lacerandosi a causa del logorante e squilibrato esercizio del comando.
Il racconto si dispiega in uno spazio scenico scarno, su un fondale scuro, simbolo del vuoto esistenziale di chi è finito in un tunnel senza uscita. La voce narrante è discretamente accompagnata dal violoncello di Francesco Mariozzi che interviene a scandire i momenti salienti della trama.
L’originalità di questo reading risiede senza dubbio nella maniera in cui è condotta la narrazione che è fondamentalmente realistica e ben supportata dalla bravura interpretativa di Claudio Santamaria.
Ben riuscita sembrerebbe, essere, inoltre, l’operazione dell’autore di insinuarsi tra le pieghe dello scritto boccaccesco per recuperarne le tematiche di fondo, ovvero quel complesso intreccio di forze che vanno a determinare e segnare i destini degli uomini: la natura, la fortuna, l’ingegno.
Santeramo racconta prescindendo da ogni spiegazione trascendente e prestando attenzione alle cause reali, oggettive dei fatti: egli cerca sempre la maggiore verosomiglianza possibile, rendendo credibili le situazioni, le azioni e le psicologie dei personaggi