Tre donne, tre personalità, tre esistenze e lo stesso – tragico – destino: questa l’essenza di Ferocia, in scena il 25 giugno 2017 presso la splendida cornice di Palazzo Reale a Napoli.
Lo spettacolo, scritto da Betta Cianchini e diretto da Gabriella Eleonori, costituisce un fulgido esempio di denuncia sociale portato in scena da sole donne.
Il palcoscenico è diviso in tre parti, ciascuna occupata da un’interprete e da arredi che ricreano degli interni domestici. Le storie delle tre donne procedono in parallelo e sono raccontate attraverso monologhi: i “turni di parola” sono assegnati da riflettori che illuminano alternativamente le attrici, consentendo loro di proseguire la propria narrazione.
I personaggi compiono, nel corso della pièce, gesti semplici ma di forte valenza simbolica: rassettano e piegano la biancheria confidandosi con il pubblico, come se cercassero di fare ordine anche tra le loro idee. Le storie narrate sono di una normalità sconcertante: la prima a presentarsi è un architetto (Elisabetta De Vito) poco avvezza alle attività casalinghe e sposata con un uomo apparentemente progressista che da qualche tempo esige da lei un maggiore impegno domestico.
La seconda figura femminile (Betta Cianchini) è una donna cresciuta in una famiglia in cui le mogli sono abituate a sopportare gli abusi inflitti dai consorti: anche lei ha un marito rude e poco espansivo dal quale ha avuto un figlio.
L’ultima a presentarsi (Lucia Bendia) è una briosa trentenne appena convolata a nozze con un giovane che sostiene di essere innamorato della sua gioia di vivere, pur se associata a una gran sbadataggine che crea inconvenienti continui.
Con l’alternarsi dei monologhi si ha la sensazione di assistere a una lenta e inesorabile “discesa negli inferi” da parte delle protagoniste. Gli uomini descritti nelle narrazioni diventano col tempo sempre più violenti e le loro donne – intimorite – sembrano coltivare in parallelo una crescente speranza che essi tornino “quelli di una volta”. Il sentimento che le accomuna è il senso di colpa, dato dalla convinzione che ci sia un nesso causale tra la loro condotta e i maltrattamenti subiti.
Tutte e tre le narratrici, a seguito dell’ennesimo litigio vengono ferite a morte e poi successivamente compatite in un’ipocrita campagna mediatica: raccapricciante l’assassinio della più giovane – tagliata a pezzi e inserita nella stessa valigia che era stata fonte di tante discussioni domestiche – raccontato al pubblico mentre la protagonista si raggomitola in un trolley.
Terminati i racconti delle tre donne, vengono fatti ascoltare al pubblico frammenti di servizi giornalistici relativi a femminicidi realmente commessi in Italia. A conclusione della pièce è l’architetto a riprendere la parola, urlando “Fateci smettere questo spettacolo!”: ma se da un lato questo desiderio è comprensibile, è altresì vero che di rappresentazioni del genere dovranno circolarne ancora molte, in attesa che la ferocia maschile diventi un soggetto teatrale del tutto anacronistico.
Laura Cascio