un progetto di musica e teatro ispirato alle vite e alle opere di Oriana Fallaci e di Aléxandros Panagulis

ELABORAZIONE DRAMMATURGICA, REGIA E INTERPRETAZIONE ELENA BUCCI
MUSICA E LIVE ELECTRONICS LUIGI CECCARELLI
CON MICHELE RABBIA (PERCUSSIONI), PAOLO RAVAGLIA (CLARINETTI) DISEGNO LUCI LOREDANA ODDONE
REGIA DEL SUONO RAFFAELE BASSETTI, ANDREA VENERI
CONSULENZA DRAMMATURGICA ELETTRA STAMBOULIS
SCENE E COSTUMI NOMADEA CON L’AIUTO DI MARTA BENINI E MANUELA MONTI
ASSISTENTI ALL’ALLESTIMENTO NICOLETTA FABBRI, BEATRICE MONCADA
FOTO PATRIZIA PICCINO
COPRODUZIONE RAVENNA FESTIVAL, FONDAZIONE CAMPANIA DEI FESTIVAL – NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA E COMPAGNIA LE BELLE BANDIERE PRODUZIONE MUSICALE EDISON STUDIO – ROMA

prima assoluta

8 Luglio 2019 ore 21.00
durata 1 ora e 15 min
Napoli
Teatro Nuovo

Alekos Panagulis, rivoluzionario e poeta greco incarcerato per un attentato al dittatore Papadopoulos e poi liberato grazie ad un forte movimento internazionale, incontra Oriana Fallaci per un’intervista: restano allacciati, fra discussioni, lotte per la libertà, allegria, solitudini e speranze, fino alla morte di lui per un misterioso incidente nel 1976, e anche oltre, attraverso i libri di Oriana che, come lui, trasforma il dolore in scrittura per la memoria di tutti. Alla loro storia si ispira questo melologo dalle molte anime.

Mi pare che la memoria sia una pratica sempre più necessaria: prima pensavo che il mio non riuscire a dimenticare fosse una malattia, ora mi pare un infinito baule del tesoro dal quale attingere, come se la memoria degli altri fosse anche la mia.

Quando partii per un viaggio in Grecia dopo la maturità, portai con me un libro dove una giornalista ardita, Oriana Fallaci, raccontava dell’incrocio del suo destino con quello di Alekos Panagulis, politico e poeta greco imprigionato, torturato e condannato a morte per il suo fallito attentato al dittatore Papadopoulos. Un fortissimo movimento d’opinione internazionale aveva portato alla sospensione della pena e poi una grazia alla scarcerazione. Si incontrano per un’intervista e restano allacciati, fra discussioni appassionate, andate e ritorni, fino alla morte di lui per un incidente misterioso nel 1976.

La potenza della scrittura compiva il suo miracolo: persa in quella terra polverosa e profumata che trabocca di segni antichi, vicina e lontana, tra i templi, i paesaggi marini fermi nel tempo e le città caotiche e nere, mi sembrava di vivere le vite di Oriana e Alekos, in lotta contro il conformismo e le bugie, irriducibili, ostili per natura e disciplina al potere e alla tirannia. Si narrava di amore e di lotta, della solitudine degli eroi e della loro forza poetica, dell’allegria e della disperazione degli spiriti liberi. Ora capisco meglio quanto fosse anche una vigorosa trasformazione del dolore e del lutto attraverso la scrittura, una testimonianza che voleva diventare memoria di tutti e resistere all’oblio che, veloce, stava già calando.

“La politica è un dovere, la poesia un bisogno. E’ un urlo che non si può soffocare, l’ansia di un istante che non si può dimenticare. Allora cerchi carta e matita per fermarlo.”

Scrive Alekos nel carcere, su qualsiasi cosa trovi, per non perdersi.

Anche per lui la scrittura è medicina, memoria, appiglio che salva quando il mondo sembra impazzito. E’ un’arma e uno scudo.

Dalla scrittura gli viene la forza di ridere dei propri aguzzini, di prenderli in giro, di sopportare la solitudine che deriva dall’ossessione di cercare e dire la verità.

Mi pare che porti anche il sollievo per un errore che gli ha impedito di diventare un assassino, quando la rabbia non gli porgeva altra soluzione che un attentato, a lui che non sapeva vendicarsi nemmeno dei suoi aggressori.

Guardo i suoi libri ormai introvabili e dimenticati con la prefazione di Pasolini. Sembrano passati secoli, ma le domande sono vive. Mentre tutto il pianeta è scosso da guerre e mutamenti e si svegliano i mostri che approfittano della paura e dell’ignoranza, permane anche la volontà gioiosa di resistere alla violenza con la pratica tenace del pensiero, dell’arte, della scrittura.

Mi affido all’intuito drammaturgico e alla sensibilità sapiente del compositore Luigi Ceccarelli, con il quale collaboro da tempo, al talento di due musicisti e autori come Michele Rabbia e Paolo Ravaglia, da lui scelti, alla partecipe regia del suono di Raffaele Bassetti e Andrea Veneri, per ricreare attraverso i suoni e la musica un luogo sospeso dove ritrovare vite che ho vissuto. Quando posso immergermi nella musica e diventare suono insieme ai suoni, mi pare di perdere il mio stesso corpo e i limiti della mia identità. In un continuo scambio tra appunti, improvvisazione e riscritture, la drammaturgia si innesta sulle comuni radici di musica e teatro e mi pare più vera. Le luci di Loredana Oddone disegnano nello spazio quasi vuoto una piccola prigione che può diventare l’infinito, le isole abitate dai musicisti, le città, il mare, una suggestione di Grecia e di Italia.

Non userò le parole di Oriana Fallaci, non oserò strappare brani da un libro perfetto, ma proverò a raccontare con le mie povere parole di lei e di lui, di quell’epoca, di quella terra e della mia, di altri scrittori e artisti che vissero l’orrore della dittatura. Attraverso il loro dolore e la loro forza di resistenza amplierò il mio sguardo di fortunata, nata in tempo di pace, ma che ora vede avvicinarsi il buio.

Immagino un melologo che colleghi questa storia recente alle immagini delle rovine che le guerre del presente portano ogni giorno davanti ai nostri occhi, mentre è in gioco la vita stessa del pianeta. Sento risuonare gli echi di tragedie passate nel mio parlato cantato o canto parlato, sogno un teatro che sia centro nervoso della polis, catarsi, dove gli errori della storia siano spinta per migliorare : una piccola luce nel buio, dove risuona, invincibile, una risata.
Elena Bucci

 

Note intorno al progetto musicale

Negli anni in cui si svolgeva la vicenda di Alekos Panagulis contro la dittatura greca e la sua storia veniva dibattuta dalla stampa di tutto il mondo ero un giovane ventenne. In quell’epoca di forte ideologizzazione che rendeva spesso il clima sociale cupo e torbido, la figura di Panagulis si stagliava per la forza lucida e la grande emotività del suo pensiero, raccontata soprattutto con efficace coinvolgimento da Oriana Fallaci. Quello che mi impressionava molto in lui, ciò che lo rendeva ai miei occhi una persona straordinaria, era come l’ideale di libertà fosse talmente necessario da rendere sopportabile perfino ogni tipo di violenza fisica e psicologica, la dimostrazione di come il perseguimento di un ideale potesse andare anche oltre la propria vita.

Oggi sono passati quasi cinquant’anni da allora e il mondo è molto cambiato. Così, quando mi è stato proposto di creare un’opera di teatro musicale su Alekos Panagulis, ero inizialmente un po’ perplesso, la sua figura mi sembrava ormai scolorita dal tempo e dal tramonto di molte di quelle ideologie.

Invece, con sorpresa, rileggendo le sue poesie e la sua storia mi sono reso conto di come quel pensiero ancora oggi rimanga intatto, di come quel carico di energia vitale prepotente possa essere ancora necessario ed attuale, dopo la necessaria opera di depurazione del tempo. E anzi, più oggi che allora, il desiderio di democrazia e di libertà perseguito con così tanta emotività da Panagulis ci trasmette un desiderio di partecipazione positivo. Proprio quella stessa partecipazione che i media attuali sembrano concederci sempre più ma togliendoci del tutto l’entusiasmo.

Come affrontare questo tema dal punto di vista musicale, come rendere la vitalità contenuta nei testi di Alekos Panagulis?

Innanzitutto trasformando il racconto e la poesia di Alekos in “suono”, cercando di rendere ancor più percepibile l’espressività di ogni elemento fonetico, che Elena interpreta magistralmente, e che l’elaborazione digitale può rendere ancora più emozionale: nella moltiplicazione della voce fino a farla diventare un coro, nella creazione di uno spazio tridimensionale che porti il pubblico ad immergersi nei versi e non a guardarli solo dalla rassicurante distanza della platea, cercando di portare il testo nella dimensione iper-realistica di una performance di teatro musicale contemporaneo.

E poi costruendo un progetto dove i musicisti non eseguono una partitura precostituita e immutabile, ma in cui ogni strumentista contribuisce, con la condivisione della propria identità musicale alla costruzione della partitura generale. Paolo Ravaglia e Michele Rabbia non sono semplicemente esecutori, ma interpreti e creatori all’interno di una struttura in cui testo, voce e suono dialogano tra loro combinandosi senza perdere la loro individualità.

Sullo sfondo ovviamente, a far da riferimento, c’è spesso la musica greca con le sue tradizioni di libera convivenza che ci riporta a quella terra di cui Panagulis è figlio. Non certo quella musica insistente da sottofondo turistico che, come in ogni località del mondo, ci ronza intorno perennemente, ma quella musica che è forse la più antica della civiltà mediterranea e che meglio di tutte ha saputo fondere le culture con cui è venuta a contatto. Ascoltando la musica greca d’arte ci si rende conto che siamo di fronte alla sintesi perfetta tra la musica latina, la musica araba e quella balcanica. Quella sintesi che la musica di oggi è sempre più abituata a fare. Una musica che non appartiene più ad un genere musicale, ma che, forse utopisticamente, è ad un livello superiore, una sintesi che identifica tutti in un unico linguaggio comune.

Luigi Ceccarelli