Villa Pignatelli
20 giugno 2017
ore 19.00
durata 1h e 30min
Levania, una rivista di poesia – Jam session
a cura di EUGENIO LUCREZI e MARCO DE GEMMIS, con PAOLA NASTI ed ENZA SILVESTRINI – Suoni dal vivo di TONINO TAIUTI
Una rivista, che è un luogo polifonico di scelte, raduna i suoi redattori-poeti perché ne traccino la strada già percorsa. Li accompagna con suoni zampillanti dall’istante un attore-musicista-pittore.
Leggono i levaniani CARMINE DE FALCO, BRUNO DI PIETRO, EMMANUEL DI TOMMASO, MARISA PAPA RUGGIERO, ANTONIO PERRONE, ENZO REGA
Dall’editoriale del numero zero (novembre 2011):
[ …] Una rivista di poesia nasce a Napoli: in ossequio alla migliore tradizione novecentesca, che ha visto farsi sempre più intensa l’interferenza tra linguaggi diversi, presenteremo, insieme alle scritture, il lavoro di artisti, scelti di preferenza tra quelli impegnati nella ricerca della comune origine segnica di figure e parole. Nella convinzione che pensare la poesia costituisca un’attività critica ed una forma di resistenza all’insensatezza, la redazione sarà attenta alle intersezioni della poesia con le discipline scientifiche e con la filosofia, presentando contributi teorici e saggistici. La rivista si chiama «Levania» in omaggio a Sergio Solmi, che così intitolò, negli anni ’50, un’esile raccolta ispirata a un librino del Seicento, il Somnium, seu Opus de astronomia lunari, opera oscuramente utopica di Johannes Kepler. Nel quale è scritto che «in aetheris profundo sita est LEVANIA insula»: si tratta della luna, eterna ispiratrice dei poeti. Keplero ci racconta la visione indiretta della luce e lo struggimento della distanza astronomica dal calore della vita; e Solmi, lettore ineguagliato di Giacomo Leopardi, ne raccoglie la suggestione. Dell’autore di Levania ebbe a scrivere Franco Fortini: «Il rifiuto di affrontare temi e realtà troppo laceranti lo conduce a vagheggiare alcuni vasti miti culturali dell’età contemporanea, come i voli spaziali e la fantascienza». Solmi, dunque, non guardò la Medusa negli occhi, anche quando ebbe a scrivere, in Dal quaderno di Mario Rossetti, pagine intense sulla Resistenza. Ma in lui, poeta «del ritegno, ragionante e civile» (ancora Fortini), agirono inaspettate accensioni di pensiero avvenire, innescate dall’attitudine sperimentale che sempre sottende chi guarda alla letteratura come a un corpo vivo che si trasforma. […]
Mimmo Borrelli
Con la lengua sperduta di Michele Sovente
Un attore-autore dà voce e corpo alla lingua di un poeta, che è quasi un suo parente, per via di geografia e per via di espressività. Un linguaggio stratificato suona potente come un’intera orchestra tellurica. Lo accompagna un amico che si è fatto ponte tra i due.
« [ …] Ernesto Salemme, che mi aveva avviato agli studi teatrali, cercava di convincere, già a quel tempo, il mio piccolo e neonato talento di autore vernacolare, a manifestarsi in scena con e soprattutto al suo fianco. In quei giorni mi parlava spesso di Michele, che secondo il suo parere era uno dei più grandi poeti del Novecento, vivente.
Mi addusse anche un altro aspetto che mi colpì molto: Michele oltre alla straordinarietà di scrivere in latino, era solito riscrivere le sue poesie traducendole dal latino in poesia e versi, nell’italiano e nel “cappellese”.
Quella lingua impasticciata e tonante, icastica e divertente, terribile e soave, della mia amata nonna Maria “delle papere”. Lingua ostica dalle “o” dell’infinito alle “strascicanze voluminari” in voce piena degli avverbi di luogo “ccò” e “llò”.
Ernesto disse a Michele: “Questo è quel ragazzo di cui ti parlavo”.
Lui rispose: “Famme senti’ guagliò”.
Lessi tutto d’un fiato una delle sue tante meravigliose composizioni: la cabaletta.
Nessuna esitazione, nessun errore, nessuna indecisione, come se quei versi nascessero dalle mie labbra in quel momento e non dall’ispirata furia “calamaica” di un genio allo scrittoio.
Il suo giudizio attese il suo tempo, rimase offuscato dal silenzio post-fiato oltre il finale.
Quel silenzio mi sembrò interminabile e non capivo se fosse ammantato dal gusto amaro del non apprezzamento, oppure “alitato” dalla meraviglia in caramella del miracolo.
Due parole: “Che voce… tu sei la voce e tutte le voci del tuo popolo… e… anche dei miei versi”.[…] Ebbene il mio sarà il racconto indefinito. Traccerò la genesi di una poetica dove il suono rimpingua nell’articolazione volgare ed “auta” della metrica, ovvero la mia, partendo dalle fondamenta di una poesia materica e infinita, vuota e piena, apollinea e ventrale, fatta di tufo e scorze di agrumi: le tre lingue di Sovente e dei piani della sua casa.
Lo farò senza forma, senza luci, forse un banco di scuola, forse in compagnia del mio amico di tante venture: in compagnia di un compare, colui che mi ha formato, che ha costruito il mio giudizio e dato voce a coloro che spesso questa voce non hanno modo di esprimerla. Colui che volle e promosse quell’incontro. Il mio amico E. ». Mimmo Borrelli