DRAMMATURGIA/WRITTEN BY TEATRO DEI SENSI ROSA PRISTINA
REGIA/DIRECTED BY SUSANNA POOLE
CON/WITH LIDIA ARIAS, ROSARIA BISCEGLIA, SOFIA CAMPANILE, ROBERTA DI DOMENICO DE CARO, DAVIDE GIACOBBE, ELEONORA LONGOBARDI, SALVATORE MARGIOTTA, CARLO MELITO, GABRIELE POOLE, SUSANNA POOLE, CINZIA ROMANUCCI
SCENOGRAFIA/SET DESIGN GIUSEPPE BARBATO
PAESAGGIO OLFATTIVO/OLFACTORY LANDSCAPE NELSON JARA TORRES
PAESAGGIO SONORO/SOUNDSCAPE DAVIDE D’ALÒ
DISEGNO LUCI/LIGHT DESIGN CIRO COZZOLINO
PRODUZIONE/PRODUCTION TEATRO DEI SENSI ROSA PRISTINA
date/dates dal 29 giugno al 14 luglio (tranne 8 luglio)/from 29 june to 14 july (except 8 july)
h 21.00; 21.20; 21.40, 22.00, 22.20, 22.40, 23.00, 23.20, 23.40
(spettacolo per un singolo viaggiatore)/ entry every 20min from 9pm until 11.40pm
(performance for a single traveller)
luogo/venue museo diocesano – donnaregina vecchia
durata/running time 45min
lingua/language italiano/italian
paese/country italia/italy
Teatro dei Sensi Rosa Pristina torna al Napoli Teatro Festival Italia con un nuovo labirinto sensoriale che questa volta condurrà lo spettatore alla scoperta di un misterioso piccolo villaggio. Nel titolo c’è l’eco della poetica pasoliniana:
Ormai è vicina la Terra di Lavoro/ qualche branco di bufale, qualche/ mucchio di case tra piante di pomidoro/ èdere e povere palanche/ Ogni tanto un fiumicello, a pelo/ del terreno, appare (…) la luce che piove su queste anime/ è quella, ancora, del vecchio meridione/ l’anima di questa terra è il vecchio fango.
(Terra di Lavoro in Le ceneri di Gramsci)
«Ciascuno di noi – si legge nelle note di regia – ha impressa un’immagine di che cosa sia la vita in un paese molto piccolo. Ci sono le case raggruppate e da un cortile si passa ad un altro in un confine sfumato fra il dentro e il fuori, fra la vita privata e quella del vicolo. Ci sono gli abitanti che sanno tutto di tutti ed alcuni, dalla presenza più forte, diventano dei “personaggi” dei quali conserviamo una traccia nell’immaginario. Questo fa pensare a quello che doveva essere Vitebsk per Chagall. Chagall dipingeva le case, le mucche, i personaggi del suo piccolo paese – come lo zio violinista o la coppia di innamorati, la capretta e il campanile – ma tutto trasfigurato nelle dimensioni, nei colori e nella collocazione, in un paesaggio fantastico, tutto interiore. Il Vecchio Fango è un lavoro su un’unità minima di vita comunitaria, un minuscolo villaggio immerso nella natura che potrebbe felicemente rappresentare un’immagine idilliaca. Ma l’altra faccia della medaglia è l’isolamento dei suoi abitanti che può far emergere i tratti più gretti, ruvidi e misteriosi dell’umano. C’è un’oscurità che lo sguardo del visitatore riesce appena a cogliere. Per questo, il viaggiatore che si avventuri nelle strade di questo piccolo villaggio, seguendo un odore, un suono, uno sfioramento, non si sentirà sempre al sicuro e dovrà ricorrere alla memoria e all’immaginazione per ricostruire ciò che, da bendato, non potrà che sentire e toccare con le mani».