IDEAZIONE E REGIA/CREATED AND DIRECTED BY BRETT BAILEY
MUSICHE/MUSIC FABRIZIO CASSOL
DAL/FROM MACBETH DI/BY GIUSEPPE VERDI
DIREZIONE MUSICALE/DIRECTOR PREMIL PETROVIC
CON DIECI/WITH TEN CANTANTI D’OPERA SUDAFRICANI
E LA/AND THE NO BORDERS ORCHESTRA
COREOGRAFIE/CHOREOGRAPHY NATHALIE FISHER
LUCI/LIGHT DESIGN FELICE ROSS
PRODUZIONE/PRODUCTION THIRD WORLD BUNFIGHT
IN COPRODUZIONE CON/IN CO-PRODUCTION WITH KUNSTENFESTIVALDESARTS, KVS, THEATERFORMEN (BRAUNSCHWEIG), THE BARBICAN (LONDON), WIENER FESTWOCHEN, LA FERME DU BUISSON/FESTIVAL D’AUTOMNE À PARIS
CON IL SOSTEGNO DI/WITH THE SUPPORT OF PROGRAMMA “CULTURE” DELL’UNIONE EUROPEA [EU CULTURAL FUND]

date/dates 24 giugno/june h 21.00
25 giugno/june h 19.00
luogo/venue teatro politeama
durata/running time 1h 40min
lingua/language inglese con sottotitoli in italiano/english with subtitles in italian
paese/country sudafrica/south africa

E se Shakespeare fosse andato in Africa e avesse scritto lì il Macbeth? Ne sarebbe emersa un’opera contemporanea, cupa e colorata al tempo stesso. A Goma, una città situata nell’est della Repubblica Democratica del Congo, nella regione dei grandi laghi, un gruppo di rifugiati ritrova, all’interno di un baule, i costumi e gli accessori abbandonati da una compagnia teatrale che aveva rappresentato il Macbeth di Verdi durante il periodo coloniale. Decidono quindi di allestire questo spettacolo che, in qualche modo, ricorda la loro situazione, quella di un paese colpito dalla guerra civile, dilaniato dalla sete di potere dove tra guerre e violenti conflitti etnici, incursioni di mercanti cinesi, un “signore della guerra” congolese e la sua ambiziosa moglie compiono atroci delitti, nell’ambito della provincia africana che governano. Brett Bailey, regista, drammaturgo e artista sudafricano, insieme al compositore Fabrizio Cassol, realizza una versione esplosiva e colorata del Macbeth. Le storie, le culture e le epoche si confondono per rievocare la violenza della guerra e la follia degli uomini. «Il primo impulso – leggiamo nelle note di Bailey – è stato quello di mescolare l’atmosfera cupa dell’opera di Verdi con i modi e i materiali più tipici della cultura africana, quasi infiltrandoli e modificandoli. Seguendo i fili dell’immaginazione ho pensato l’opera come scaturita da un monolite architettonico del XIX secolo, simile a una cattedrale di epoca coloniale, sperduta nelle radure dell’Africa centrale. Un simbolo che ricordi quell’epoca passata, ora, con le pareti sgretolate, coperte di fori di proiettili e di graffiti, minacciata dal peso del tempo e delle violenze commesse in quei luoghi, dal potere rapace dei colonialisti europei. Sono ben consapevole della catastrofe che si è perpetrata negli anni nel Congo Orientale: è una storia complessa che pochi, fuori da quelli regioni, conoscono. Anche per questo motivo ho immaginato che i personaggi – attori\rifugiati dello spettacolo provenissero proprio da quella zona del Congo.