DI SAMUEL BECKETT © EDITIONS DE MINUIT
TRADUZIONE CARLO FRUTTERO
REGIA DI MASSIMO ANDREI
CON LELLO ARENA, MASSIMO ANDREI
E CON BIAGIO MUSELLA, ELISABETTA ROMANO, ESMERALDO NAPODANO, ANGELO PEPE E CARMINE BASSOLILLO
SCENE ROBERTO CREA
COPRODUZIONE TEATRO CILEA DI NAPOLI, LA CONTRADA TEATRO STABILE DI TRIESTE
TEATRO COMUNALE DI CASERTA
10 LUGLIO ORE 21.00
DURATA 1H+40MIN
DEBUTTO ASSOLUTO
«Ho sempre tentato. Ho sempre fallito.
Non discutere. Prova ancora.
Fallisci ancora. Fallisci meglio»
Nel 1975, a ventidue anni dalla prima assoluta parigina di En attendant Godot, Samuel Beckett ritorna sul testo che lo ha reso famoso, per realizzare una sua regia in lingua tedesca, allo Schiller Theater di Berlino. Con oltre un ventennio di esperienza alle spalle, Beckett decide di «dare forma alla confusione» del testo originale. Inizia una profonda revisione drammaturgica e un percorso registico, minuziosamente documentati nel testo riveduto e nel suo quaderno di regia. Ne emerge il quadro di un processo creativo intensissimo, in cui il sapere e l’istinto di teatrante puro di Beckett producono, da una parte, una drammaturgia visiva potente e coerente e, dall’altra, una versione di Aspettando Godot qualitativamente diversa dall’originale francese. Uno degli scopi di questo nuovo allestimento è quello di riportare l’azione scenica, scenografica e testuale di questo capolavoro alle intenzioni più segrete ed intime del suo autore. A partire dall’accento del nome Gòdot che Beckett voleva cadesse sulla prima sillaba. E che avesse la t sonora. E non come tutti abbiamo sempre fatto alla francese Godòt. Quando ho cominciato a fare le prime letture a Napoli, con attori napoletani, che non mangiavano yògurt ma yogùrt, che non avevano bisogno di un hotèl ma di un hòtel, e che per venire alle prove avevano preso la metropolitana a Piazza Càvour e non a Piazza Cavoùr, ho pensato che forse mi trovavo proprio nel posto giusto e che, probabilmente, saremmo stati tutti molto simpatici a Beckett stesso. Un Aspettando Godot quindi come lo aveva sempre voluto Beckett, ma che acquista nuovi profumi e un punto di vista diverso proprio quando entra in contatto con il Dna dei figli di una città che ha presto dovuto imparare il senso tragicomico dell’attesa. L’attesa di un nuovo invasore che scacci un vecchio tiranno, quella per la liquefazione del sangue del suo santo patrono a conferma della sua presenza e protezione, quella del terremoto pronto a distruggere case e certezze, quella dell’eruzione del vulcano bisbigliata e scongiurata nelle preghiere tra i riccioli di marmo del barocco e le volte d’oro delle chiese. Aspettare Godot in un una strada di campagna alle falde del Vesuvio può avere altre tensioni, altri smarrimenti, la stessa tragica inutilità.