DI SERGIO BLANCO
REGIA MARIA VITTORIA BELLINGERI
CON ROBERTA LIDIA DE STEFANO
SCENE E COSTUMI MARIA VITTORIA BELLINGERI
LUCI ANDREA SANSON
MUSICHE ORIGINALI ROBERTA LIDIA DE STEFANO
ORGANIZZAZIONE FILIPPO QUARANTA
PRODUZIONE BRUGOLE&CO
CAPODIMONTE – PRATERIE DELLA CAPRAIA (PORTA MIANO)
22, 23 GIUGNO ORE 21.00 DURATA 1H DEBUTTO
Viviamo il tempo di una pandemia che sta esasperando l’enorme divario sociale ed economico tra gli uomini. Se da un lato il virus ci ha messo di fronte alla comune fragilità, al contrario la macchina della disuguaglianza radicale si è manifestata nella gestione dell’emergenza. Al di là della nostra personale posizione più o meno fortunata, è impossibile non notare quanto le minoranze in questo momento storico non accettino più di essere considerate tali. Tutto è fluido e cangiante o almeno così ci appare. All’interno di questo scenario epocale si è aperto uno squarcio politico-sociale che si chiama “Femminismo intersezionale”: questa nouvelle vague di femminismo non separatista -conscia che nessuna donna rinuncerebbe a nessuno dei privilegi conquistati, grata alle lotte femministe- cerca un’evoluzione e la trova in una parola chiave: Contaminazione. Non si può parlare oggi di POLIS senza parlare di cultura del diverso, di lotta di classe, di identità di genere, di orientamento sessuale, di linguaggio inclusivo; senza coniare una nuova grammatica del presente, senza conferire dignità e valore alle storie di migrazioni sia fisiche che identitarie. Per questo è più che mai necessario aggrapparsi ai Miti e alla loro sacralità. Per ritrovare nel caos, un “Umanesimo 2.0”. Il momento storico è delicatissimo, assistiamo a scontri fisici e virtuali tra viventi, a tentativi di inversione di potere. Quando si potrà parlare di uguaglianza senza sentirsi stridere in quanto privilegiate/i bianche/i normodotate/i , cisgender o al contrario nere/i, colonizzate/ i, portatori/ici di handicap…? E ancora: quanto siamo coscienti del fatto che parlando di identità, non intendiamo più il soggetto all’interno di una collettività, ma piuttosto il potere sociale del proprio “contesto-corpo”, di cui il soggetto si fa portavoce? LA NOSTRA KASSANDRA è Fluida – immigrata – puttana – divertente- spudorata. E’ una Kassandra iper-contemporanea, quella di Sergio Blanco, drammaturgo franco-uruguayano tra i più interessanti del panorama internazionale, autore dalla potenza interrogante unica. I suoi lavori hanno ricevuto diversi primi premi, tra cui il Premio Nazionale di Drammaturgia dell’Uruguay, il Premio di Drammaturgia della Città di Montevideo, il Premio del Teatro Nazionale, il Premio Florencio come miglior drammaturgo, il Premio internazionale Casa de las Américas e Premio TheaterAwards per il miglior testo in Grecia. Nel 2017, il suo pezzo Thebes Land riceve il prestigioso British Award Off West End a London. Il fascino del teatro di Sergio Blanco sta nell’adottare con estrema intelligenza la formula dell’auto-finzione (una sorta di declinazione identitaria del docufilm cinematografico). È un drammaturgo che nella sua scrittura teatrale dimostra una capacità colta e sfacciata di raccontare il lato oscuro della nostra anima, ci chiede di dare per vero ciò che vero non è e per falso, menzognero ciò che alla fin fine potrebbe essere plausibile. Blanco con Kassandra decide di esplorare una donna “in transito”, senza una identità fissa, né indirizzo, né paese. Una clandestina. Blanco ambienta la vicenda in un sordido bar ai confini della periferia di una città. Kassandra vende sigarette e il suo corpo e si perde nelle parole di una lingua non sua che parla con difficoltà. Si perde anche in qualche bicchiere oltre che in sè stessa. Con la strafottenza dei visionari Kassandra la straniera accoglie il pubblico, lo tenta, lo seduce e a lui dona tutta l’anima raccontandosi senza filtri. Un monologo ironico, intriso di suono e musica, divertente ma profondamente toccante, che parla dell’oggi attraverso il mito.