Luigi Angelone, Master in Drammaturgia e Cinematografia – Università degli Studi di Napoli Federico II

Il clown è la metafora dei complessi meccanismi che regolano la mente umana. È una figura ironica, avvezza al rischio e all’improvvisazione. Ed è proprio sulla falsariga del linguaggio clownesco che si muove Leonardo e la Colomba, lo spettacolo ideato e diretto da Ted Keijser andato in scena il 30 giugno e il primo luglio al Teatro Trianon-Viviani, nell’ambito della dodicesima edizione del Napoli Teatro Festival Italia.
Leonardo da Vinci rinasce cinquecento anni dopo a Mirano ed ha il volto di Simone Romanò, giocoliere romano dallo sguardo vispo e accesso. Suo padre è un forestiero di cui non si conosce il nome né la provenienza, mentre sua madre è un ambiguo personaggio vestito da donna che sembra fare il verso alle androgine figure dipinte dal genio vinciano.
Leonardo da Mirano ha anche uno zio, proprio come il suo illustre antenato: si chiama Orazio da Arzano (Orazio de Rosa), un allevatore di piccioni che lo seguirà passo passo nell’elaborazione dei suoi progetti, incoraggiandolo e sostenendolo.
Un bizzarro personaggio interviene con il suo eloquio incerto e claudicante a interrompere l’improbabile sequela di azioni che vedono il giovane Leo alle prese con gli esperimenti sul volo, condotti peraltro in modo assai rocambolesco con l’aiuto della sua fedele Colomba (Laura Bernocchi). Il tutto si svolge in un’atmosfera che suggerisce un’idea di frenetica e incessante laboriosità, tra i colpi di martello dati da due operai intenti a smontare e rimontare e i curiosi meccanismi di una macchina concepita dall’artista scienziato per innescare il movimento di una piuma.
La poliedricità del pensiero di Leonardo rivive in questo spettacolo in una combinazione di forme espressive di grande impatto quali la danza, il circo e la musica, che si intrecciano e si avviluppano in un crescendo di numeri acrobatici e divertenti esibizioni ludiche. Evoluzioni funamboliche e ardite piroette su altalene a cerchio ripropongono le invenzioni leonardesche in chiave circense, introducendo gli spettatori alla complessità del suo linguaggio.
È il Leonardo più umano quello che si intende rappresentare in questa occasione, l’immagine più genuina e più vera di una intelligenza che non ha paura di inciampare su se stessa, perché è alimentata da un desiderio costante di conoscenza che nulla concede all’esitazione.
Decisivo l’apporto delle musiche, le quali contribuiscono a rievocare il clima di furore creativo necessario allo svolgimento della trama. Le scenografie sembrano invece concepite per assumere una funzione squisitamente simbolica, riuscendo pienamente a soddisfare l’esigenza di restituire quel senso di incompiutezza che sovente si respira nell’opera del Nostro: un abbozzo di cielo che allude forse alla meta ultima degli esperimenti vinciani sul volo, moderne ruote di bicicletta e un enorme cavallo, oggetto di una infinità di studi e travagli esistenziali.