di Alejandro De Marzo, Master in Drammaturgia e Cinematografia – Università degli Studi di Napoli Federico II
Una stanza ampia e una libreria a rivestirne un parete intera, una scrivania a un lato e un divano al centro. Da questo ambiente, che si rivela setting unico della piéce “Il silenzio grande”, lo spettacolo investe il pubblico con dialoghi e ricordi che sviluppano il senso della complessità dei rapporti familiari avvolgendoci però della ‘leggerezza’ tipica delle commedie. Lo scrittore napoletano Maurizio De Giovanni si cimenta ora davvero sul genere teatrale (dopo il precedente adattamento di “Qualcuno volò su nido del cuculo”) con l’abilità propria dei padri della commedia partenopea. Ad attestarlo soprattutto la figura di Bettina, la governante della casa (una bravissima Monica Nappo), personaggio chiave per il dipanarsi delle storie che si raccontano nelle due ore di recita, cameriera dal fare curioso e divertente che tanto ricorda certe donne di casa delle commedie edoardiane. È lei a cucire, nelle scene ‘confessione’ che vive con il padre della famiglia (Massimiliano Gallo), le altre ‘confessioni’ che stravolgono il quadro familiare: quella del figlio (Jacopo Sorbini) che si dichiara finalmente gay, della figlia (Paola Senatore) che apprende ad amare dopo esperienze con uomini adulti e con una gravidanza che le stravolgerà la vita, ma soprattutto della moglie (l’ispiratissima Stefania Rocca) che sempre più tradisce la fatica del condurre la casa nelle difficoltà finanziarie in cui versa. Il protagonista infatti è un noto scrittore pluripremiato ma in crisi economica, e l’agio borghese che ha assicurato alla famiglia nel corso degli anni risulta frantumato dai problemi che contemporaneamente sorgono dovuti allo scorrere del tempo e alle esigenze dei vari componenti.
Proprio il divano al centro del palco quindi funzionerà da ‘lettino’ di esplicitazione delle psicologie che si scontrano nel primo atto per poi conciliarsi nel secondo. Ma, come si diceva, la profondità di riflessione è coniugata sin dall’inizio alle battute e dinamiche da commedia italiana con una abilità di dosaggio che certamente dipendono dalla scrittura drammaturgica ma che pure sono frutto della bella regia di Alessandro Gassmann. Non a caso certe sue soluzioni formali (incaricando le diverse elaborazioni video e il design delle luci a scandire i momenti della rappresentazione) restituiscono allo spettacolo la dimensione peculiare del ricordo e del sognare che tanta parte avrà nel finale. Come nella migliore tradizione del linguaggio della scena, infatti, sono le emozioni a condurre il gioco della sintonia degli spettatori con i personaggi, a fondarne l’immedesimazione, a garantirne il piacere estetico nonché il guadagno morale. La strategia testuale di questo spettacolo, consona ai contenuti che tratta, sa incanalare il sentimento di mancanza affettiva alle concretizzazioni sceniche (la casa messa in vendita è presentata svuotata dal secondo atto, le conversazioni binarie tra i personaggi trovano spiegazione alla fine) ricalcando il significato del titolo. Un ‘silenzio grande’ che in questo caso suscita la conferma dello scrosciare fragoroso degli applausi a sancirne il merito.